L’ossessione italica per l’auto privata
- Elio Litti

- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min
Potrebbe sembrare di leggere Lercio ma invece, soprattutto quando si parla di mobilità e sostenibilità, spesso in Itala la realtà tracima nel caricaturale.
16 novembre 2025, nella giornata della sensibilizzazione internazionale sulle vittime di incidenti stradali, a Roma il gruppo FdL locale ha organizzato il “suv pride” ovvero una adunata di auto che avrebbero dovuto sfilare per le vie di Roma per manifestare l’orgoglio a poter condurre un’auto e a protestare contro Ztl e piste ciclabili che, a detta degli organizzatori, sarebbero la causa principale del traffico e dell’insicurezza stradale a Roma.
Ad aggiungere del grottesco alle già surreali ragioni della manifestazione, va citato che nonostante il fiasco di partecipanti (e verrebbe da dire, meno male) le centinaia di auto chiamate a raccolta hanno esse stesse creato un ingorgo nel luogo della protesta contro gli ingorghi stradali. Pare una trama uscita dalle mani di Saramago, Kafka o Calvino, ma le cosmocomiche del caso sono frutto del partito di maggioranza di Governo.
L’ingiustificabile arretratezza culturale italica nei confronti della mobilità dolce, non è tuttavia solo appannaggio delle destre. Il problema è culturale ed è molto profondo e radicato. Secondo una indagine del 2022 di Legambiente[1] in Italia servirebbero oltre 21mila chilometri di piste ciclabili in più dal 2020 rispetto al 2030, per tenere il passo con gli standard di mobilità europei. Un investimento di almeno 500 milioni di euro annui nei prossimi anni, che possono apparire molti ma che sono meno dell’1% della spesa che l’Italia destina all’auto privata e a infrastrutture stradali[2].
Così mentre secondo gli ultimi dati del rapporto sulla sicurezza stradale europea[3] l’Italia ha visto una diminuzione di incidenti stradali mortali dell’11% contro una media europea del 16%, nell’intervallo di tempo 2013-2023, il ministero dei trasporti italiano anziché promuovere la diffusione delle aree 30 (ovvero le aree urbane con limite a 30km/h per veicoli privati, e priorità per pedoni e ciclisti), ha impugnato la norma del comune di Bologna che seguiva proprio le indicazioni europee per rendere le nostre città più sicure, a misura di pedone e ciclista, e ultimo, ma non ultimo, anche meno inquinate per effetto sostituzione della mobilità dolce al posto dei veicoli privati.
Tornando al 16 novembre scorso, leggendo l’Osservatorio europeo per la mobilità sostenibile[4], alcune città europee hanno ricordato le vittime della strada piantando alberi a memoria, come in Irlanda, con passeggiate commemorative come in Spagna, con messe e celebrazioni per le vittime come in Polonia. Ci si augura che la città eterna l’anno prossimo sia in grado di distinguersi per manifestazioni meno miopi e più ancorate alle esigenze del presente, che chiede scelte radicali e collettive per rispondere ai bisogni di mobilità, in ecosistemi urbani con spazi e risorse economiche fortemente limitati, e che necessita di ottimizzare e disciplinare le esigenze individuali per migliorare il vivere comune.






