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Se dovessimo rispondere alla domanda del grande Gaber, non potremmo che sottoscrivere le parole del giornalista, filosofo e politologo, Marcello Veneziani: «È veramente uno sforzo eroico quello di tentare di trovare un motivo di approfondimento, di discussione, di confronto tra idee di destra e di sinistra.» Sul piano della pratica politica infatti tra le due parti politiche c’è contrapposizione frontale, reciproca demonizzazione e delegittimazione. Paradossalmente però chiunque vada al governo, sia un partito storicamente di sinistra che di destra, seguirà comunque «lo stesso protocollo, fondato sulla linea Draghi, le direttive europee, la stretta adesione/subordinazione alla NATO, al Patto Atlantico.» Da un lato, quindi, «scontro politico e ideologico, senza possibilità di dialogo», dall’altro «l’uniformarsi a una stessa governance». Realpolitik? Forse! Di fatto le differenze tra destra e sinistra sembrano mere sceneggiate «su temi “laterali”» e non prioritari.
Veneziani ne parla nell’introduzione a Destra e sinistra[1], testo dedicato al confronto appunto tra le due parti politiche, nato da un ciclo di sette incontri tenuti, tra il 29 gennaio e il 2 aprile 2023, nel cinema Farnese in Campo de’ Fiori. Relatori di destra e di sinistra hanno analizzato concetti cari alla destra (Dio, Patria, Famiglia) e alla sinistra (Uguaglianza, Libertà, Felicità). L’iniziativa è stata organizzata della Scuola di cittadinanza del «Fatto Quotidiano», il cui direttore, il compianto Domenico De Masi, è venuto a mancare il 9 settembre scorso, e si è conclusa con il confronto tra Veneziani, espressione del punto di vista di destra, e Marco Revelli, docente di Scienza della politica dell’Università del Piemonte orientale, portavoce invece di quello di sinistra. Per me è un modo per chiedermi se le soluzioni pratiche al dissenso etico proposte dal filosofo Bernard Williams, che ho discusso nell’articolo precedente, Dalla tolleranza al dialogo, secondo cui a fronte delle divergente, è possibile e necessario tracciare un orizzonte pratico intersoggettivo tra i dialoganti in conflitto, valgano anche per la destra e la sinistra.
Malgrado la situazione su illustrata, infatti, Veneziani non nega che «nella società italiana, ma direi nella società civile europea occidentale, esistono due modi di pensare che possiamo con qualche sforzo sintetico definire uno di destra e uno di sinistra.» Una coppia antitetica che, secondo Revelli, ha origine precisa: la Rivoluzione francese. Versailles, 28 agosto 1789.
Gli Stati generali, diventati Assemblea nazionale, aprono la discussione sul diritto di veto del re. Come scrive lo storico Philippe Buchez: «L’Assemblea si divise definitivamente in lato sinistro e lato destro», tra chi avrebbe voluto riconoscere il diritto del re e chi avrebbe voluto negarglielo. Si realizza una rivoluzione copernicana: lo spazio dell’assemblea da verticale (il re in alto, poi l’aristocrazia, il clero e in basso il Terzo Stato), di colpo, diventa orizzontale. Iniziano a distinguersi i partiti: all’estrema destra i monarchici non vogliono alcun cambiamento nella monarchia assoluta; a destra i monarchici anglomani sostengono una monarchia all’inglese; a sinistra i patrioti propongono un’idea di un regime monarchico di nuovo tipo; all’estrema sinistra i democratici spingono per dare i pieni poteri al popolo attraverso i rappresentanti eletti. Nasce così la modernità politica a partecipazione individuale: i rappresentanti del popolo si staccano dai loro ceti d’appartenenza ascrittiva (cioè per sangue, nascita e non per scelta), e da un modello comunitario, e diventano individui, con appartenenza elettiva e associativa, governata dalla mobilità delle opinioni. Di questa modernità, la sinistra è la punta di diamante.
Revelli evidenzia come destra e sinistra non siano quindi concetti sostantivi, radicati nella natura e nell’essere delle diverse forze politiche, bensì posizioni nello spazio politico: concetti relazionali, per cui si può mutare di connotazione, pur rimanendo fermi, non cambiando. Se all’inizio a sinistra c'erano i liberali, che si battevano per i diritti civili, l’uguaglianza di fronte alla legge, quando nel corso dell’Ottocento, sono emersi i democratici, che volevano estendere i diritti civili al campo politico con il suffragio, i precedenti furono spostati al centro. Emersi poi i diritti sociali, i movimenti socialisti e comunisti hanno occupato lo spazio della sinistra riconfigurando la geografia. Oggi, potremmo aggiungere «i diritti di quarta generazione, i diritti post-materialisti e persino i diritti di altri esseri viventi che non siano gli uomini.»
Veneziani annota che seppur ci siano molte destre e molte sinistre, è possibile riconoscerne due tipi per ciascuna: una destra e una sinistra individualista, liberale e conforme al quadro della società capitalistico-atlantica e una destra sociale, comunitaria, critica verso il modello capitalistico occidentale, distinta da una sinistra sociale, solidale, a sua volta critica verso lo stesso modello: due destre e due sinistre parimenti equidistanti tra loro, con «zone di contiguità con la destra e altre di contiguità con la sinistra.»
Le differenze stanno nel modo di contrapporsi all’individuo neutro, anonimo, intercambiabile della società liberale: per la destra, c’è la persona, un individuo con un volto, una storia, un’identità, un’eredità; per la sinistra, l’individuo solidale, aperto all’idea di società e in essa inserito. La prima privilegia il principio di prossimità, l’importanza dei legami di vicinanza, familiari e sociali (paese, territorio, nazione); la seconda il principio di lontananza, che si prende a carico dei problemi dell’umanità, l’universalità, in un quadro internazionalista. Si potrebbe obiettare da destra che un generico amore per l’umanità si sposa all’indifferenza e all’odio per il vicino. Come si potrebbe definire l’opzione di destra egoistica rispetto a quella altruistica di sinistra. Ma, per Veneziani, sarebbero possibili degenerazioni che non negano l’intrinseca dignità delle posizioni di entrambi.
Inoltre la destra privilegia il principio della continuità, il pensiero conservatore, la tradizione, l’idea di eredità, l’importanza di preservare il mondo dal declino, dalla decadenza, dalla rovina. Non è un culto del passato ma il riconoscimento di qualcosa di vivo che continua e si trasmette. Il punto nodale della sinistra è l’emancipazione: liberarsi da, rimettere in discussione lo stato di cose esistenti, natura, destino, tutto ciò che ci consegna a un limite, a un mondo che precede la nostra volontà, a una destinazione precostituita. Insomma «lo schema storico della destra resta di tipo conservatore e lo schema storico della sinistra resta di tipo progressista.»
Revelli condivide lo schema, ma lo declina diversamente. Per lui l’individualismo, come valore di sinistra, significa considerare ogni uomo faber suae propriae fortunae, libero costruttore del proprio destino a prescindere da nascita e condizioni di privilegio che la natura ha attribuito. Si sceglie da che parte stare ed è questo elemento elettivo che fonda il principio di uguaglianza. Il quale non confligge con la libertà: «ma si sostengono e si integrano». Per la destra contano i principi di autorità, gerarchia, ordine, sottomissione dell’individuo al tutto, tradizione, aristocrazia; la sinistra contrappone a essi la «forza del negativo».
Per Jacques Maritain, la sinistra vive di una inquietudine ontologica, soffre il presente, lo stato di cose esistente, per riconoscere se stessa ha bisogno di una temporalità aperta, nella quale ciò che nel presente è fonte di sofferenza può essere superato nel futuro. Per «Esprit», il gruppo di Jean-Paul Sartre e di Simone de Beauvoir: «La sinistra si autodefinisce essenzialmente come negatività, come negazione di un certo regime sociale, delle idee che vi si legano e che mirano a conservarlo». In un articolo, Claude Lanzmann (L’homme de gauche) immagina il dialogo tra due donne delle pulizie in un edificio gelido. «L’inverno è rigido», dice l’una. «I padroni sono dei bastardi a non riscaldare», dice l’altra. È nel rifiutare la dimensione naturale della sofferenza che consiste essere di sinistra o di destra. Di destra è chi attribuisce alla natura gli eventuali mali propri e del mondo; di sinistra chi si ribella e seleziona come nemico e avversario il colpevole delle proprie sofferenze.
Veneziani obietta però che né il concetto di uguaglianza, né la libertà sono prerogative di sinistra. Ci sono due modi di concepire la libertà: a sinistra come “liberazione da”, a destra come “libertà per”. Entrambe contrarie alla libertà della società liberale, priva di vincoli, legami, senza impedimenti. Inoltre oggi sappiamo che nei centri storici e ZTL si vota più a sinistra e nelle periferie disagiate a destra, ridisegnando quindi i ceti e le istanze di entrambe: il popolo è più con la destra, la borghesia a sinistra. Per questo Veneziani è dell'avviso che i patrimoni ereditari dell’una dell'altra parte vanno recuperati altrove, cioè sul piano dei valori: la destra, quella non liberale e non individualista, è convinta che le società pur secolarizzate abbiano bisogno di rianimare un rapporto attivo con il senso religioso, i legami familiari, le appartenenze territoriali e nazionali. “Dio, Patria, Famiglia” è un motto mazziniano, appartiene a epoche antiche, ma le istanze esprimono bisogni permanenti. «Una cultura civile, metapolitica», la definisce Veneziani. Chi è di destra si sente figlio di un luogo, del suo luogo. Chi è di sinistra figlio di un tempo, del suo tempo. Il nucleo di principi saldo nella sinistra è invece il riferimento all’idea di accoglienza, all’idea di inclusione, di solidarietà nei confronti di minoranze considerate svantaggiate rispetto alle altre.
Tralasciando le osservazioni di Veneziani sul diverso approccio alla storia dell’Italia, al rapporto tra fascismo e antifascismo e alle considerazioni su comunismo e politicamente corretto, che meritano una discussione a parte, mi concentro qui sulla bio-politica.
Mentre la destra, scrive Veneziani, riconosce importanza alla natura, a come siamo, con i nostri limiti, le culture di sinistra sono portate più all’idea di confutare un’appartenenza automatica, di essere ciò vogliono, di autogestire persino la sessualità. C’è una contrapposizione frontale che riguarda la vita, la morte, la nascita, la maternità, gli orientamenti sessuali. È molto tenace nella nostra società questa distinzione che - ammette - «conduce da ambo i versanti fino all’isterismo e al fanatismo.» Tuttavia, Veneziani semplifica (parole sue!) riducendo le rivendicazioni della sinistra «all’insegna di quella ideologia dei diritti per cui “io sono ciò che voglio essere”, non ho identità precostituite o assegnate.»
Una tale riduzione a volontarismo o volitismo, a mio avviso (una riduzione tipica della destra, ma anche della chiesa cattolica), non coglie il punto. Quando si parla di diritti, soprattutto delle minoranze, non sempre si tratta di mero capriccio, di un dispettoso volere, pretendere questo o quell’altro, con un rifiuto tout court dei limiti e di tutto ciò che è tradizione e natura (che poi bisogna chiedersi cosa sia la natura, chi ne stabilisce i confini, quale potere ne media e trasmette i significati). Non sempre si sceglie di essere ciò che si è. Se di scelta bisogna parlare, essa va intesa nel senso di fedeltà a un modo di essere al mondo. Non si sceglie di essere transgender o gay, ma di restare fedeli a, o tradire se stessi. Per questo, va smantellato, ma per ampliare e rendere inclusiva un’idea di natura altrimenti univoca e dominante che un’atavica tradizione ha valorizzato, tramandato, imposto, in maniera esclusiva, mettendo a tacere altre opportunità umane, differenti, non uniformate, che non si sono lasciate sintetizzare nel modello normativo.
Ma il punto è anche un altro. Si possono accampare motivazioni di ogni genere, religiose, metafisiche, metapolitiche, il fatto è che in Italia non "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale" e non tutti "sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", come recita l'art. 3 della Costituzione. E la destra, più di qualsiasi altra parte politica, opera perché queste disuguaglianze restino immutate, anzi affinché peggiorino.
Per questo l’uguaglianza, come osservò Norberto Bobbio (di cui Revelli cita il suo Destra e sinistra), è stella polare della sinistra. Non livellamento o omologazione ma l'idea che gli uomini in alcuni elementi sono uguali e in altri diversi. È di sinistra chi valorizza gli elementi uguali rispetto a quelli diversi, ma per assicurare un eguale accesso ai diritti. L’uguaglianza è qualcosa che ha a che fare col carattere, prima ancora che con l’ideologia e la cultura politica. È la capacità – dice molto bene Bobbio – di sentire lo scandalo delle disuguaglianze, di avvertirlo senza lasciarsi normalizzare rispetto a questo scatto.
Considerate le divergenze, però, ci si deve chiedere se sia possibile un confronto tra destra e sinistra che dia luogo a un patto, un’intesa, senza convergere in un centro che ne smussi le identità, cedendo al pragmatismo e al dominio assoluto della società tecno-globale, a opportunismi, a sistemi capitalistico-consumistici. La risposta di Veneziani è interessante:
«Ci sono tante cose in cielo e in terra che non sono di destra e non sono di sinistra, che possono unirci e possono dividerci. Però partire da queste linee di distinzione tra le due categorie, credo che possa essere di qualche utilità; a patto che si inizi da un reciproco riconoscimento. Sono due visioni opposte, non c’è lo scontro finale tra il bene e il male, la ragione e la barbarie.»
Ci sono temi che pur declinati diversamente hanno un filo comune: libertà, giustizia, eccetera, non appartengano all’uno o all’altro schieramento. Ci sono differenze formali e sostanziali, così come ci sono inevitabilmente territori neutri in cui occorre muoversi con buon senso. Fattori da prendere in considerazione per arrivare a una democrazia compiuta. Su alcuni punti, è possibile ipotizzare intese. Se si è diversamente scontenti della miseria del presente, si può immaginare una coalizione nel nome del passato e del futuro rispetto alla miseria del presente. Un tema di convergenza può essere il primato della politica, la necessità che i processi sociali vengano governati nel nome di interessi generali, lì dove si assiste a una progressiva marginalizzazione della politica, alla subordinazione a fattori, poteri e priorità di tipo economico-finanziario e tecnocratico. Menzionando TINA, non una vecchia zia, ma lo sciagurato acronimo di there is no alternative di Margaret Thatcher, Veneziani conclude:
«Nel momento in cui noi accettiamo questo quadro secondo cui non c’è alternativa, abbiamo smesso di parlare di destra e di sinistra, di cultura politica, di diversità, di orientamenti, e accettiamo che ci sia un unico corso. Una ribellione congiunta su questi termini e su questi temi, sull’idea, appunto ineluttabile, che non ci sia alternativa, credo che si debba intraprendere. Poi, posta questa premessa e questa necessità di un punto di incontro, ben venga un civilissimo scontro. Che la sfida cominci e si proceda.»
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