Ancora una volta Israele bombarda uno stato sovrano
- Davide Inneguale

- 13 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Israele ha bombardato il sud del Libano poche ore dopo l’accordo sul cessate il fuoco a Gaza. Un morto, strutture civili distrutte, un messaggio chiaro: la tregua vale solo quando conviene a Tel Aviv. L’esercito israeliano parla di “infrastrutture di Hezbollah”, ma la definizione, come spesso accade, serve più a giustificare che a spiegare. È la formula con cui ogni raid diventa legittimo, ogni casa sospetta diventa un obiettivo militare.

Ciò che colpisce non è solo la violenza dell’azione, ma la sua impunità. Da anni Israele colpisce ovunque Gaza, Cisgiordania, Siria, Qatar, ora il Libano e nessuno dei suoi alleati occidentali osa porre un limite concreto. Gli Stati Uniti continuano a fornire armi, veto al Consiglio di Sicurezza, copertura diplomatica. L’Europa, prigioniera del proprio senso di colpa storico e della paura di sembrare “contro Israele”, resta ferma. Il risultato è che la legalità internazionale diventa un concetto negoziabile: vale per alcuni, non per tutti. Quando Mosca bombarda una città ucraina, si parla giustamente di crimini di guerra; quando Israele rade al suolo un quartiere a Gaza, commette un genocidio, o bombarda nel sud del Libano, si parla di “autodifesa”. Lo stesso gesto, due pesi e due misure. È qui che la credibilità dell’Occidente si dissolve: nel linguaggio, prima ancora che nei fatti.
Eppure, le immagini e i rapporti delle organizzazioni umanitarie parlano da soli. Interi quartieri spianati, ospedali in macerie, civili uccisi o dispersi. L’argomento della “guerra contro il terrorismo” non regge più: ciò che resta di Gaza è la prova che Israele non combatte solo Hamas, ma un’intera popolazione. E il rischio è che porti lo stesso schema oltre confine. In questo scenario, l’Europa avrebbe potuto essere la voce del diritto internazionale. Avrebbe potuto pretendere indagini indipendenti, sospendere la cooperazione militare, spingere per un embargo sulle armi. Ha preferito tacere, o peggio, dividersi in sfumature di ambiguità. Il silenzio è diventato la forma più elegante della complicità.
Non si tratta più di schierarsi “pro o contro Israele”, ma di capire quanto a lungo l’Occidente possa tollerare una politica fondata sull’immunità morale. Ogni bomba lanciata con il consenso implicito di Washington o Bruxelles non distrugge solo case e vite, ma la stessa idea di ordine internazionale che l’Occidente dice di difendere.
Il bombardamento del sud del Libano non è un incidente, è un sintomo. Israele agisce sapendo che nessuno lo fermerà. E finché questo equilibrio di potere resterà intatto, nessuna tregua sarà mai reale, nessun cessate il fuoco segnerà davvero una fine.





