Referendum 8-9 giugno: quando l’astensione diventa strategia politica
- Davide Inneguale
- 4 giu
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Sabato 8 e domenica 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari. Quattro di questi toccano temi centrali per il mondo del lavoro: licenziamenti, contratti a termine, subappalti e sicurezza. Il quinto riguarda la cittadinanza, proponendo un’apertura verso i figli di immigrati nati o cresciuti in Italia. Eppure, il dibattito politico si è concentrato meno sul merito dei quesiti e più sulla scelta “controversa“ del governo Meloni di spingere per l’astensione.

Non è illegale invitare a non votare. In Italia, la legge non punisce l’astensionismo, e la strategia del silenzio è stata adottata in passato anche da partiti di sinistra. Ma ciò che oggi desta perplessità è la modalità con cui la maggioranza ha trasformato questa tattica in uno strumento di delegittimazione preventiva del referendum stesso. Giorgia Meloni ha dichiarato che si recherà alle urne ma non ritirerà le schede, un gesto che ha l’apparenza del rispetto formale del voto ma equivale, nei fatti, a un invito all’inazione.
È lecito chiedersi: che democrazia è quella in cui chi governa scoraggia apertamente la partecipazione popolare, anziché promuoverla? Se i referendum sono una delle poche forme di democrazia diretta rimaste ai cittadini, perché svuotarne il significato con una campagna sull’astensione?
Inquietante è la centralità data al quinto quesito, quello sulla cittadinanza, usato dalla destra per mobilitare la propria base contro un presunto “pericolo ideologico”, oscurando così i temi legati al lavoro. In questo modo, si rischia di affossare l’intero referendum sfruttando la componente più divisiva e identitaria coadiuvata dalla disinformazione dilagante. E nel farlo, si sacrifica il confronto pubblico su questioni che riguardano milioni di lavoratori e giovani precari italiani.
Chi ci guadagna se il quorum non viene raggiunto? Non certo chi lavora in condizioni precarie, chi subisce licenziamenti ingiustificati o chi aspetta da anni una legge sulla sicurezza nei cantieri. Non chi è nato in Italia da genitori stranieri e aspetta di essere riconosciuto come cittadino. L’astensione non è neutra: ha un colore politico, e oggi rischia di diventare lo strumento con cui una parte politica evita il confronto, delegittima la partecipazione e mette a tacere istanze sociali reali.
Andare a votare, dunque, è più di un diritto: è un atto di responsabilità. È decidere di non lasciare il campo alla retorica dell’“è tutto inutile”. Perché se non si raggiunge il quorum, a perdere saranno i cittadini. Tutti.