La svolta di Fiuggi è un fatto di capitale importanza per la storia della Repubblica italiana, perché ha rappresentato la fine di un percorso: la rimozione dell’ultimo ostacolo alla piena attuazione dei principî democratici nell’arredo politico nazionale. L’estinzione, cioè, dell’odioso «arco costituzionale» che ha lasciato ai margini del governo una parte consistente del corpo elettorale. Il Movimento sociale italiano, eccetto la tornata del 1948, ha rappresentato una forza sempre oltre il 4% alla Camera, con una impennata sopra l’8% nel 1972. Tradotto in numeri assoluti, parliamo di una forbice tra il milione e mezzo e i quasi tre milioni di voti.

A Fiuggi, nel 1995, è stato messo nero su bianco il riconoscimento dell’esperienza partigiana quale momento essenziale per il ritorno a quella democrazia che il «fascismo aveva conculcato». Una tesi storica dal forte impatto politico ed emotivo, appunto perché proclamata dall’assise congressuale di quel partito nato per dare continuità storica all’esperienza tragica e crepuscolare della Repubblica sociale italiana. Bisogna però intendersi: l’Msi non nacque per riesumare quel Duce ormai morto e sepolto o per rifondare il Regime. Nacque semmai per traghettare gli eredi di quella stagione dentro la vita democratica del Paese. «Né rinnegare né restaurare» fu uno dei primissimi motti della neonata fiamma tricolore.
Un partito di nostalgici, ma non solo, che fece sin da subito delle scelte di campo nette e irrevocabili: in nome dell’anticomunismo, l’Msi sostenne le ragioni dell’adesione italiana alla Nato. Erano gli anni del Patto di Varsavia, dell’Unione sovietica, della corsa al nucleare e della presenza ai propri confini della Jugoslavia del maresciallo socialista Tito.
Anni muscolari, sì. Ma di crescita economica e ottimismo in Italia. Assieme alla Dc e ai liberali, i missini puntavano all’elettorato alternativo alle sinistre, ai conservatori, ma con schemi differenti. I primi quindici anni di esistenza della fiamma furono in funzione di una strategia ben precisa: entrare nell’area di governo e infrangere un cordone sanitarie per molti aspetti naturale.

Un lungo percorso che ebbe come snodo fondamentale la nascita del – seppur breve – governo presieduto dal democristiano di sinistra Fernando Tambroni (1960) con il sostegno esterno dei missini. Quel momento avrebbe potuto rappresentare, con un anticipo di 34 anni, la nascita del centrodestra organico in Italia. I moti di piazza scatenati in Italia da comunisti e socialisti contro la riunione del sesto congresso dell’Msi a Genova, però, soffocarono nella culla un progetto ambizioso. Furono undici i morti. Un bollettino pesantissimo che portò il presidente del consiglio a presentare le dimissioni ad appena 4 mesi della fiducia, decretando la fine di un esperimento politico che avrebbe potuto mutare le traiettorie politiche nazionali.
Quel sangue favorì invece la nascita del centrosinistra, esperienza che si concluderà a fasi alterne e formule rinnovate soltanto negli anni Novanta. Una stagione grigia, segnata da una violenza spaventosa che verrà ricordata appunto con il titolo terrificante degli «Anni di piombo»: tra terrorismo, manovre oscure e misteri ancora irrisolti.

Negli anni Settanta, l’Msi si metterà alla testa di un ennesimo esperimento per guadagnare agibilità: federare le forze a destra della Democrazia cristiana. Alla chiamata risposero i monarchici, dando vita al Movimento Sociale italiano - Desta Nazionale. Era il 1972 e quel progetto, probabilmente in anticipo con i tempi, rappresenterà la prova generale di quel che accadrà soltanto vent’anni dopo, con il collasso della Prima repubblica sotto i colpi delle inchieste giudiziarie del pool di Milano. Alleanza nazionale avrebbe dovuto rappresentare quel contenitore chiamato a mettere assieme cattolici, liberali e nazionali. Paradossalmente, però, la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia annacquarono il tentativo missino di riunire le anime alternative alla sinistra.
Come detto, il passaggio di Fiuggi è soltanto l’atto finale di un percorso implicito al progetto di fondazione del Movimento sociale italiano. Ovviamente, è una storia che meriterebbe di essere raccontata con maggiori dettagli e impegno. Perché in quella storia ci sono da annoverare anche delle defezioni fatali: la nascita di An, cavalcata anche coraggiosamente dall’allora segretario Gianfranco Fini, verrà auto-abortita con lo scioglimento del partito per confluire nella meteora berlusconiana del Popolo della libertà. Gli storici dovranno fare i conti, anche, con l’abbaglio che voleva risolvere il neofascismo nel postfascismo e quindi in un progressismo di matrice liberal-liberista. Vedi il caso di Futuro e Libertà. Una fuga in avanti che gli elettori hanno dimostrato di non accettare e che di fatto non corrisponderebbe neanche allo zeitgaist attuale, segnato dallo spostamento a destra della platea politica mondiale, in cerca di protezione rispetto all’aggressività delle dinamiche globali.

Fratelli d’Italia è dunque erede di una storia che gli osservatori politici, spesso, danno prova di non conoscere tra vezzi saccenti e pregiudizi. La continuità è tutta in quel simbolo, la fiamma, che non c’è ragione di spegnere, date le opportune premesse. Giorgia Meloni è presidente del consiglio: la prima donna della storia nazionale, ma anche il primo esponente a provenire orgogliosamente da destra. Parliamo della stessa premier che, in occasione della Giornata della Memoria del 2025, ha dichiarato che la Shoah ha rappresentato «un piano condotto dal regime hitleriano che in Italia trovò anche la complicità di quello fascista, attraverso l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni». Attenzione, però, perché non si tratta di una presunta svolta: ma di idee che all’interno delle sezioni dei partiti della destra italiana erano già patrimonio comune da decenni e decenni.