Meloni chiede unità, ma UE e USA non hanno la stessa idea di Pace
- Davide Inneguale

- 20 ago
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Al vertice multilaterale di Washington del 18 agosto, convocato alla Casa Bianca da Donald Trump con la partecipazione di Volodymyr Zelensky e dei principali leader europei, Giorgia Meloni ha ribadito una linea che riflette tanto la posizione italiana quanto quella dell’UE: per l’Ucraina non bastano tregue temporanee, servono garanzie concrete e durature di sicurezza. «Se vogliamo garantire la pace dobbiamo farlo insieme, uniti», ha dichiarato, sottolineando come l’unità occidentale e la resilienza ucraina abbiano reso possibile aprire, dopo oltre tre anni di guerra, uno spiraglio di dialogo.

Il cuore dell’intervento della premier è stato chiaro: nessuna pace sarà credibile senza un meccanismo che impedisca nuove aggressioni. L’Italia, insieme ad altri partner europei, ha rilanciato la proposta di estendere a Kiev garanzie di sicurezza ispirate all’articolo 5 della NATO, senza tuttavia formalizzare un’adesione all’Alleanza. Un modo per evitare sia l’escalation diretta con Mosca sia il rischio di un’Ucraina esposta, domani, a ulteriori offensive.
Eppure, le differenze con l’approccio statunitense sono apparse nette. Trump non ha chiesto a Putin un cessate il fuoco immediato, segnalando un orientamento più elastico, se non ambiguo, rispetto alla richiesta europea di garanzie vincolanti. Bruxelles non vuole fare passi indietro né concedere riconoscimenti alle conquiste russe, mentre Washington sembra più incline a una mediazione pragmatica, che potrebbe includere intese meno rigide.
Questa divergenza mette in luce un nodo cruciale. Da un lato, la fermezza europea risponde al timore che ogni concessione indebolisca la credibilità del continente e incoraggi nuovi atti di forza russi. Dall’altro, la visione americana, più concentrata sul risultato immediato, rischia di lasciare l’Ucraina in una condizione di vulnerabilità strutturale.
Resta però un punto difficile da eludere: dopo anni di guerra, è verosimile che la pace passi soltanto da una mediazione che contempli anche delle concessioni. L’idea di protrarre indefinitamente il conflitto, immaginando un impegno militare diretto dell’Occidente, appare a mio avviso irrealistica. La Russia rimane una potenza globale, con un arsenale nucleare imponente e un esercito in grado di sostenere una guerra di logoramento più a lungo di quanto l’Europa sia disposta a reggere. Pensare a una vittoria totale sul campo significherebbe soltanto allungare la spirale di distruzione.
La sfida è dunque trovare un equilibrio tra la richiesta europea di garanzie solide e la necessità, altrettanto concreta, di aprire una trattativa con Mosca. La diplomazia resta la via meno sanguinosa e più realistica, sebbene implichi compromessi difficili da accettare. La vera abilità politica sarà trasformare quei compromessi in un accordo che metta fine a una guerra ormai insostenibile per l’Ucraina, per l’Europa e per l’intera comunità internazionale.





