La lezione rumena all'Europa
- Elio Litti
- 21 mag
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Contro i pronostici della vigilia, la Romania mette alle spalle il candidato ultranazionalista George Simion, alleato di Salvini e Meloni, nonché di (in)diretta emanazione di Mosca, preferendogli il candidato centrista e filoeuropeista Nicusor Dan, ex sindaco della capitale rumena.

Le cancellerie europee tirano un sospiro di sollievo, ma si tratta di un respiro dal fiato corto. È vero che il pericolo di portare la Romania al di là della cortina di ferro sovietica pare essere scampato anche grazie ad un ritrovato entusiasmo dell’elettorato che è corso alle urne con un tasso di partecipazione al voto davvero notevole per la Romania: partecipazione al 65% al ballottaggio contro il 53% dei votanti al primo turno. Ma c’è da chiedersi anche come sia solo stato possibile paventare la vittoria di un candidato fortemente euroscettico, per un paese che deve tantissimo all’ingresso in Unione Europea?
Dal 2007 al 2024, a fronte di una spesa comunitaria di 30 miliardi di euro, la Romania ne ha ricevuti 90, diventando tra i primi beneficiari netti dell’Unione. Da quando il paese fa parte del bocco europeo ha beneficiato di sussidi alle regioni più depresse, supporto alle infrastrutture e recentemente, anche di tutti i benefici del mercato libero garantito dall’area Schengen che garantisce libertà di movimento per cittadini e merci da e verso il resto dell’UE.
Il reddito medio rumeno pro-capite è oltre triplicato da quando fa parte dell’UE, con alcune sue regioni, soprattutto intorno alla capitale, che sono ormai fuori dalla lista delle aree più povere del continente. Eppure, l’ultradestra xenofoba ed euroscettica ha soffiato sulle ferite di un paese a crescita fortemente diseguale, dove, secondo l’unico studio eseguito sul processo di convergenza economica tra regioni rumene, appare come in realtà che il paventato avvicinamento delle regioni più povere a livelli di sviluppo delle più ricche del paese, non si sia realizzato.
Il candidato euroscettico e cosiddetto nazionalista, inoltre, ha subito le sconfitte principali nelle aree del paese a forte minoranza ungherese, proprio perché ha soffiato sul fuoco dell’etnocentrismo. Fa riflettere come la diaspora rumena in Europa si sia molto polarizzata con paesi come Italia, Germania, Spagna e Francia che hanno visto la vittoria schiacciante del candidato di estrema destra, ed i paesi orientali dell’Europa che invece hanno sostenuto in massa il vincitore Dan.
Il messaggio che l’elettorato rumeno manda all’Europa è chiaro: l’euroscetticismo si alimenta al crescere delle diseguaglianze di sviluppo. Sacche del paese ai margini dai benefici della crescita economica tenderanno a nostalgicizzare i tempi in cui l’economia comunista li rendeva tutti più eguali, sicuramente più poveri ma con meno contrasti tra chi ha e chi no. Con il risultato che le forze antisistema che minano a destabilizzare l’Europa sfrutteranno i clivages economici, etnici e la cronaca presente. Simion, infatti, ha convinto molti come Bruxelles avesse più interesse a Kiev che alle periferie rumene (non a caso è considerato persona non grata in Ucraina), sfruttando disinformazione e debolezze strutturali di un paese percepito come profondamente corrotto dai suoi cittadini (al terz’ultimo posto dell’indice di corruzione percepita – cfr. Eurostat).
