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L’uomo senza corpo

In un mondo dove l’omicidio diventa un’arma per affermare il potere, l’uomo senza corpo vaga, vittima e carnefice di narrazioni millenarie. La relazione con l’altro si trasforma in una strategia, un gioco di specchi in cui ogni nazione, ogni leader, cerca di imporre la propria sovranità. È un balletto di ombre, dove la carne si dissolve e il senso dell’umano si perde tra le pieghe della storia.

 

Settembre 2025 porta con sé il peso di queste dinamiche. Israele, per riaffermare la sua supremazia militare, elimina i vertici di Hamas, violando norme internazionali che tentano, fragili, di preservare un’eterogeneità globale. È un gesto che non parla solo ai nemici, ma al mondo intero, un proclama di forza che ignora il costo umano.

 

La Russia, con un’incursione di droni in territorio polacco, sfida i confini della NATO, forse per intimidire, forse per testare la tenuta di un’alleanza che considera ostile. Negli Stati Uniti, un attivista repubblicano viene assassinato durante un evento universitario, un atto che trasforma il dissenso politico in un sacrificio pubblico, amplificato dai riflettori dei media.

 

L’uomo senza corpo, privo di sensibilità, si muove in questo scenario con gli strumenti che conosce: intimidazioni, omicidi, esecuzioni. Sono messaggi rivolti ad altri uomini senza corpo, prigionieri di narrazioni che costruiscono per dare un senso alla loro esistenza. Le loro battaglie politiche si trasformano in guerre esistenziali, a cui intere collettività si aggrappano, prive di una storia propria. Diventano così protagonisti di una pagina di giornale, di un reel sui social, di un servizio televisivo, perché il loro sacrificio non sia dimenticato, perché la loro voce non si perda come un soffio di vento tra le infinite storie che ricamano il racconto umano. Questi uomini senza corpo danzano un tango con la morte, esorcizzandola attraverso i corpi altrui: soldati, civili, dissidenti, vittime senza nome che non cercano la gloria, ma che finiscono incisi nei marmi o nelle pagine dei libri, se ancora qualcuno li scriverà. Nel loro vagare tra gli intrichi delle relazioni tra stati o gruppi sociali, i leader agiscono come se il mondo fosse loro proprietà, ignorando il peso delle loro parole e dei loro gesti. Gli spettatori, ridotti a pubblico, sono privati della loro storia personale, trasformati in masse senza volto.

 

Senza corpo, si perde la sensibilità, la capacità di connettersi con l’altro, che sia un individuo o un popolo. I leader, padroni dei corpi delle nazioni che rappresentano, li usano in chiave economica nei tempi di pace e bellica nei tempi di guerra. I popoli, manipolati, si piegano a queste narrazioni, convinti che la loro carne sia al servizio di una causa più grande, scritta da chi ha smesso di sentire il peso della propria umanità.

 

Settembre 2025 non è un punto di svolta, ma un punto di arrivo. È il momento in cui tutti, sopraffatti da un mondo che non possono controllare, rischiano di abbandonare i propri corpi, anestetizzandosi dal dolore di ciò che fa audience, di ciò che intrattiene. Attendiamo, in silenzio, che qualcuno dall’alto plachi il rumore assordante della sofferenza globale, o che una notte porti con sé il ritorno degli uomini con i corpi – coloro che, riscoprendo la sensibilità, possono intrecciare nuove storie, non più di morte, ma di vita. Forse, in quel ritorno, c’è ancora spazio per riscrivere il racconto umano.

jan saudek, Public domain, via Wikimedia Commons
jan saudek, Public domain, via Wikimedia Commons

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