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L’impatto della demografia sul voto

Tra sorprese e conferme, le elezioni europee 2024 sono archiviate: tra Berlusconi che da defunto, ha preso più voti di Salvini, ed il premier Meloni tra i pochi leader in UE a confermare la propria leadership con il voto; a urne chiuse, e confrontando i flussi elettorali tra le recenti europee 2024 con le europee 2019, e le politiche 2022, si possono tracciare spunti interessante e talvolta non scontati, tra conferme, e smentite sugli esiti del voto.

Marine Le Pen - Jérémy-Günther-Heinz Jähnick / Lille - Meeting de Marine Le Pen pour l'élection présidentielle, le 26 mars 2017 à Lille Grand Palais (062) / Wikimedia Commons

Innanzitutto, al livello comunitario, avevamo scritto[1] e pronosticato che un’onda nera si sarebbe abbattuta sull’UE, con un forte exploit dei partiti di estrema destra di ECR (Conservatori e Riformisti, di cui fa parte FdI) e ID, Identità e Democrazia (che accoglie Lega ex-nord e Rassemblement National, il partito di Le Pen, imborghesito e, come direbbe Bersani, reso più potabile rispetto al suo partito post-fascista originario: il Front National).

 

E tuttavia nonostante la debacle di Macron in Francia, la coalizione Von der Leyen non solo non appare sconfitta, ma probabilmente rafforzata, visto che i popolari aumentano i loro seggi e i socialisti vengono appena scalfiti da qualche perdita di parlamentari. A crollare sono i liberali e i Verdi. Le destre-destre avanzano ma non sfondano (addirittura l’antieroe Orban, nonostante il 44% dei voti raggiunti dal suo FIDESZ, perde la maggioranza e raggiunge il risultato politico più basso degli ultimi 18 anni).

Con lo sguardo puntato sull’Italia, molti partiti di governo (ma non solo) hanno deciso di ignorare totalmente la prospettiva europea della tornata elettorale, o semanticamente di relegarla a un ruolo di antitesi rispetto all’Italia (come se l’Italia fosse un corpo estraneo all’UE e non uno dei suoi paesi fondatori e attore centrale e protagonista della genesi e dello sviluppo del Progetto europeo).

 

Giorgia Meloni - © European Union, 2024, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

La campagna elettorale italiana si distingue sempre per la sua impostazione distorta: non esiste altrove in UE il malcostume tutto nostrano – e tuttavia sempre più trasversale tra vari partiti – di candidare nomi che non andranno mai a occupare seggi in parlamento. A tale distorsione democratica si sottolinea l’impostazione plebiscitaria che Meloni ha dato al supporto alla sua candidatura, con lo slogan “vota Giorgia”.

 

Fatti tali presupposti, osservando gli esiti del voto, la coalizione di governo composta da FdI FI e Lega, esce sconvolta al suo interno, nel confronto con le europee 2019. Ma è la montagna che ha partorito il topolino visto che, a livello complessivo, nonostante i toni trionfalistici per taluni, e catastrofisti per altri, la maggioranza di governo ottiene lo stesso numero di seggi[2], ovvero 40, mentre la somma tra le forze del cosiddetto campo largo, di M5S Pd e Verdi&Sinistra passano da 34 a 35 seggi. 

 

Matteo Salvini - Fabio Visconti, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Ciò che è drasticamente cambiato sono infatti i rapporti di forza all’interno degli schieramenti:

  • La Lega perde, rispetto alle ultime elezioni europee, oltre 7 milioni di voti, scivolando drammaticamente da primo a quinto partito. E perde anche oltre 360mila voti rispetto alle ultime europee 2022, nonostante il risultato sorprendente delle candidature di Vannacci.

  • Il FdI per un gioco di vasi comunicanti incassa 19 dei 21 seggi liberati dalla Lega, rispetto alle ultime europee 2019, e questo dato potrebbe sembrare un successo clamoroso, che va tuttavia contestualizzato con una perdita sostanziale di oltre 2 milioni di voti rispetto alle europee precedenti, e oltre 300mila voti in meno rispetto alle ultime politiche del 2022. Il partito di Giorgia acquista voti dal bacino di centro-destra e pare vincere non per uno sprint in velocità propria, ma per una forte retromarcia del partito di Salvini (non stupisce poi tanto visto che neanche il suo fondatore Bossi lo ha votato).

  • Nonostante una Perdita di oltre 400mila voti tra europee 2019 e politiche 2022, FI guadagna 2 parlamentari in più e cresce in percentuale, diventando la seconda gamba della coalizione. Come qualche detrattore ha scritto: alla fine, la strategia politica di Berlusconi, di morire un anno prima delle elezioni, ha funzionato.

  • Dal versante opposizione, a precipitare, neanche tanto sorprendentemente, è il M5S che perde 7 parlamentari e oltre 4.2 milioni di voti tra le ultime europee 2019 e le politiche 2022.

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni di AVS - facebook.com_Fratoianni
  • Il gioco dei vasi comunicanti premia invece il PD e i Verdi & sinistra, con i primi che perdono 450mila voti rispetto alle europee precedenti, ma ne guadagnano quasi 300mila rispetto alle politiche 2022, e i secondi che ottengono un vero exploit con 6 seggi guadagnati al parlamento europeo e quasi un milione di voti guadagnati tra ultime europee e politiche.

  • Restano all’asciutto di seggi i due gemelli diversi del liberalismo Italiano: Renzi e Calenda, che, nonostante abbiano perso oltre 1,5milioni di voti rispetto alle ultime politiche, avrebbero quasi certamente superato la soglia di sbarramento del 4% se non avessero prevalso divisioni da cupio dissolvi.


Come mai nella maggioranza dei casi, nonostante un calo di voti assoluti, alcuni partiti hanno potuto cantare vittoria guadagnando più seggi? A causa del vero partito vincitore di questa ultima tornata elettorale, ovvero il partito dell’astensione che ha raggiunto la preoccupante soglia del 51,3% a livello nazionale, ma che ha toccato valori ancora più drammatici nella circoscrizione sud (56,3%) e isole (66,3%).

In questo senso è interessante notare come le regioni più disaffezionate allo strumento del voto appaiono quelle con reddito pro-capite inferiore, ennesima dimostrazione di come il distacco verso alcune categorie socio-geografiche comporti una rinuncia non solo alla partecipazione lavorativa e sociale, ma anche elettorale.

 

Motivi e ragioni di questo declino della partecipazione al voto, sono materia per un possibile altro approfondimento. Restando nell’analisi demografica dei flussi si può con certezza affermare che il tracollo dei voti al sud ha comportato il crollo dei voti al M5S. Sempre sulla geografia del voto si può notare come FdI abbia scavalcato la Lega anche nel suo fortino del nord-est e che abbia attecchito anche in quelle zone borghesi come il caso di Capalbio, dimostrando che, nonostante la narrazione da “donna de borgata”, il partito di Meloni si sia evidentemente imborghesito.

 

Sempre restando alla geografia dell’esito elettorale si nota come la circoscrizione estero, nonostante la sua bassissima affluenza (7,1%) abbia premiato le forze di opposizione con la somma PD + AVS + M5S che raggiunge il 55,3% (con un clamoroso 17,2% di AvS) e i partiti di maggioranza che si arenano a un misero 28,2 (con la Lega che non raggiunge neanche la soglia di sbarramento e FdI che raccoglie 10% di voti in meno del dato nazionale).

Osservando anche i dati degli studenti fuori sede e di quelli degli italiani di fascia d’età 18-29, gli elettori premiano i partiti di centro-sinistra del campo largo:

  • Per i (pochi, bisogna riconoscere) votanti fuori sede trionfano con maggioranza bulgara, AvS (48,9%), PD (23%) Azione e M5s (7,4%). Lega FdI e FI insieme non raggiungono neanche il 4% del totale dei voti.

  • Per quanto riguarda il voto giovanile, questo premia il PD (18%) i M5S e AvS (col 16 e 15% rispettivamente), male vanno FdI (al 14%) e Lega appena sopra la soglia di sbarramento; FI conserva lo stesso risultato come sul fronte nazionale (circa il 9%).


In sostanza, in Italia i giovani scelgono le forze progressiste, ma questo trend non è necessariamente scontato, visto che in Francia il partito più eletto tra i giovani 18-34 è l’ultradestra di RN e va detto che nella stessa coorte demografica, il gruppo di estrema sinistra la France insoumise registra il suo punteggio migliore rispetto agli altri gruppi demografici.

DIE LINKE, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

In Germania il partito di estrema destra AFD raccoglie la stessa percentuale di voti nella classe 16-24 rispetto al dato nazionale (16%); non solo: la classe di età più giovane è quella dove il partito è maggiormente cresciuto rispetto alle europee 2019.


Sempre osservando la distribuzione territoriale del voto è interessante notare come, se mentre in Francia, la vittoria di Le Pen appare espandersi come un tappeto blu notte, quasi omogeneamente al livello nazionale, con poche eccezioni di alcune aree metropolitane, tra cui Parigi[3]. In Germania osservare la geografia del voto per comune rivela sorprendentemente come, a 35 anni dall’unione delle due Germanie[4], esista ancora un fortissimo clivage socio-politico tra la Germania est che ha consacrato il successo di AFD, e la Germania ovest, dove a vincere è stata la CDU, l’unione Cristiano-democratica. Appare evidente come la sintesi complessiva dei voti in Italia, Francia e Germania (ma anche in Czechia, Polonia ed altrove in UE) non sia una somma omogenea di localismi, ma sia frutto di un intreccio, talvolta controfattuale, di dinamiche legate ad età condizione professionale e contesto socio-urbanistico e demografico.


Un consiglio in chiusura a chi si occupa ed a chi fa politica: forse potreste non voler perdere tempo a studiare i dinosauri, come suggerisce il ministro Valditara, ma se non volete estinguervi, studiate la demografia!

 

[2] Rispetto al 2019, l’Italia nel 2024 passa da 73 a 76 seggi, per effettuare i confronti con le elezioni europee precedenti, si sono redistribuiti i 3 seggi “virtuali” ai 3 partiti più votati alle europee 2019: Lega, M5s e PD.

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