L’ennesimo editoriale di cui avremmo dovuto fare a meno
- Agnese Litti
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 4 min
Negli ultimi giorni le colonne dei giornali e le trasmissioni televisive sono popolate di opinioni, editoriali e testimonianze sugli ennesimi ignobili casi di violenza di genere. Rubare gli scatti di donne nella quotidianità o in momenti di intimità per darle in pasto a siti o ai social, è reato, ed è violenza di genere. Tuttavia, bisogna precisare che ciò che è emerso riguarda soltanto la punta dell’iceberg del fenomeno, perché tra le altre cose non si considerano siti criptati o la galassia del dark web.

Ciò che indigna è il fatto che questo fenomeno sia diffuso da decenni, ma ben lontano dall’essere eradicato. Le ondate di indignazione mista a curiosità morbosa tra qualche settimana saranno dimenticate, mentre il problema sarà ancora lì, con le centinaia di migliaia di donne esposte inconsapevolmente e senza voce.
L’Italia, con i suoi rampolli dell’establishment coinvolti in casi di violenza sessuale, non è ahimè diversa da altri paesi. Anche se da noi certi scandali hanno una straordinaria visibilità, quasi fosse un fenomeno di costume, il problema è universale. Non sono una sociologa, né una psicologa, sono una donna e scienziata politica e la mia riflessione nasce dal mio vissuto professionale ed esperienziale.
Il substrato patriarcale e maschilista di cui sono permeate la cultura e la società italiana ha autorizzato l’uomo a concedersi un approccio più disinvolto rispetto alla sessualizzazione delle donne, attraverso la fruizione di contenuti pornografici in cui l’archetipo del femminile è ridotto ad oggetto di piacere. La generazione X è stata la prima in cui, per la prima volta, anche le ragazze hanno potuto sperimentare un approccio più paritario alla sessualità; fino a due decenni fa, le donne e gli uomini usufruivano di contenuti porno senza diventare comunità, nel segreto delle loro stanze o al massimo (tranne in rari casi) in una stretta cerchia.
Con l’avvento dei social media la nostra società si sta trasformando velocemente ed irrimediabilmente nella società anonimica preconizzata da Durkeim in cui le norme, i valori e le leggi che guidano il comportamento individuale sono deboli, inefficaci o assenti. I social hanno dato la possibilità ad individui che prima erano marginalizzati di sentirsi riconosciuti e validati in microcomunità. Questi disagi hanno mille volti[1], ma gli esiti sono molto simili: aumento della violenza verbale e non verbale, estremizzazione nei messaggi, isolamento esterno; far parte di queste comunità aumenta la visibilità online, si creano comunità parallele, mentre gli algoritmi premiano i contenuti estremi.
L’ostentato paradigma del dar voce a tutti, diffuso da queste piattaforme, sta giustificando e ampliando la diffusione di nuove forme di violenza di genere (e non solo) mistificando anche il concetto di democraticità e di verità oggettive. Questo aspetto che era meno visibile nel primo decennio dall’avvento dei social media, oggi sta portando cambiamenti sociali radicali che faticano ad essere compresi dalla classe dirigente politica che, in Italia come in Europa, ha come unico referente la generazione dei boomer. Questo accade sia perché la maggior parte degli elettori appartiene a fasce anziane, sia perché la classe politica non è interessata, per pavidità o convenienza, a prendere provvedimenti integrando nell’agenda politica queste istanze che riflettono la società contemporanea e le possibili conseguenze a lungo termine[2].
Ma per concludere ritorniamo in Italia, nell’ Italia in cui è stata eletta per la prima volta una donna come Presidente del Consiglio che ha deliberatamente deciso di non appellarsi al femminile e di usare l’articolo maschile[3]; l’Italia in cui, nonostante la legislazione imponga che la Camera e il Senato debbano essere composti almeno dal 35% da donne, che rappresentano la maggioranza dell’elettorato[4], non si riescono a rispettare nemmeno le soglie minime (siamo fermi al 32% in questa legislatura) e questi numeri non sono confortanti nemmeno nell’UE[5].
Il silenzio assordante della classe politica è stato ancora più eclatante alla luce degli ultimi accadimenti dove, se non fosse stato per l’intervento dell’eurodeputata Alessandra Moretti (PD) parte del comitato FEMM al Parlamento Europeo, nessun altro esponente di rilievo dei partiti di maggioranza e di opposizione ha manifestato una posizione politica che andasse oltre una condanna formale dell’accaduto. Questo fa ulteriormente riflettere sullo stato delle cose in Italia dato che i due partiti più importanti del paese sono guidati per la prima volta da due donne, di cui una è anche esponente della comunità LGBTQI+ (notoriamente bersaglio di campagne d’odio virtuali e non) e nonostante su uno di questi siti siano state trovate delle loro foto.
Siamo l’unica maggioranza che ha paura di esprimere e difendere la propria identità. L’assioma donna=subalternità è ancora radicato così profondamente nelle nostre identità che ancora una volta abbiamo ritenuto più conveniente tacere. Ancora una volta abbiamo perso l’occasione di trasformare un sentimento di indignazione condiviso in un’opportunità per far crescere un’intera comunità che nel femminile può riscoprire la sua pluralità e non una minaccia.
Fino a quando tollereremo che una donna possa essere ridotta ad un mero oggetto sessuale? Fino a quando avremo paura del plurale e del diverso?
Fino a quando permetteremo che il paradigma tradizionale, anche se in crisi, incarni l’unico modello possibile, a perderci non saremo solo noi donne, ma la società tutta.
[1] Hikikomori, redpill, incell, QAanon per citarne alcuni, ma ce ne sarebbero molti altri.
[2] Le ultime due elezioni americane sono state impattate dalla comunicazione violenta e misogina che ha oggi come riferimento anche il Presidente degli Stati Uniti che non ha esitato ad usare i social media e messaggi a contenuto sessuale in particolare contro Hillary Rodham Clinton. Anche in Italia le violente campagne misogine contro l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini hanno avuto un impatto sulla percezione e legittimazione della ex Presidente della Camera.
[4] Legge n. 215/2012, legge n. 165/2017, legge 162/2021 e la Strategia Nazionale per la Parità di Genere 2021-2026. Ricordo inoltre che anche se in Italia nascono circa 104 maschi ogni 100 femmine, le donne sono più longeve degli uomini quindi ci sono più elettrici e donne eleggibili che uomini.
[5] Nel corrente mandato del Parlamento Europeo le donne rappresentano il 38.5% dell’emiciclo rispetto al 39.8% del mandato precedente. Nel numero di Commissari della Commissione, le donne, compresa la Presidente sono 11 su 27, nonostante le chiare direttive della Presidente von der Leyen di proporre per ciascun paese membro due candidati una donna ed un uomo, la sua richiesta non è stata accolta e l’Italia è stato proprio uno di quei paesi che non ha rispettato questa richiesta, proponendo come unico nome, quello di Raffaele Fitto.