“Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto”
– Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979
Una vita votata al pensiero e all’azione letteraria: donando al mondo romanzi diventati best sellers che hanno accompagnato molteplici generazioni nel nuovo millennio, quello che lui non riuscì ad inaugurare, ma che sa abitare attraverso il segno inconfondibile e visionario della sua produzione letteraria; il millennio che lo celebra con convinta partecipazione e con studio, considerandolo tra gli autori più autorevoli del Novecento, Italo Calvino. Già solo digitarne il nome, suscita subito soggezione e profonda gratitudine.
La luce emanata dalle sue pagine e dalle tante interviste, l’intera parabola della sua carriera, la creatività e il macro-disegno che i titoli principali della sua Opera restituiscono, ci catapultano immediatamente in sentieri al primo sguardo indistinti (fitti e che non possono non far ripensare subito ai nidi di ragno del suo esordio). Se non fosse stato interrotto sul più bello, vien da chiedersi quali altri tesori scritti avrebbe consegnato alla posterità.
L’Universo di Calvino si regge ed è alimentato da un proficuo dialogo con i grandi delle letterature mondiali di ogni tempo
Questo scrittore resta indubbiamente pioniere dell’umano tout court, in tutte le sue sfaccettature, rivitalizzandone vizi e virtù, in chiave ultra-contemporanea. L’Universo di Calvino si regge ed è alimentato da un proficuo dialogo con i grandi delle letterature mondiali di ogni tempo. Questo può scoraggiare se ci si lascia intimidire dall’aura dell’intellettuale e critico che senz’altro fu, con quel suo spessore morale, dal cipiglio spiccato e iconico, riferimento culturale innegabile e uomo attento ai talenti emergenti intorno a sé, definito “d’altri tempi” da chi lo conobbe, eppure così incredibilmente attuale.
Il segreto è nella predisposizione fiduciosa all’ignoto e al regno dell’Oltre, che affiora dal suo repertorio sin dalle prime battute. Solo avventori-lettori temerari meriteranno d’esser trasformati in novelli Colombo: pronti a navigare in mare aperto, a solcare oceani d’indicibile bellezza. La bellezza che è propria dei “Classici”, quella che secondo Dostoevskij salverà il mondo.
Che uomo sia stato Italo, difficile dirlo: troppo ineffabile e fuggitivo, molto leopardiano. Il senso del mondo che ci ha consegnato è frutto della sua psiche complessa e fortemente immaginativa. Forse il Peter Pan nostrano, uno dei bambini sperduti di Barrie, pronto a fare del niente il tutto, del gioco la vita, del silenzio parola viva, dell’asciuttezza il fertile terreno su cui correre a perdifiato. Il piccolo principe incarnato e diventato pilota d’inchiostro, con quei suoi bizzarri e incantati personaggi: inesistenti solo di nome, mica di fatto, anzi così vividi e palpabili. La sua voce percorre l’invisibile e nell’etereo sprigiona tutta la potenza che è propria dell’arte da lui così ben rappresentata: scrivere.
E come si possa scrivere senza amare leggere, questo mi resta ignoto. Infatti, proprio nel romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore si può intravedere il Calvino-lettore, che fatica a trovare la posizione, fatica ad estraniarsi dal mondo circostante, fatica richiede questa preziosa abilità umana: ecco, la sfida delle sfide, che è saper fare amica la complessità, attutendo il frastuono esistente, per lasciarsi rapire dalla lettura. Un biglietto di sola andata verso l’Altrove che non permette mai il completo nostos di chi legge, né di chi scrive.
La leggerezza calviniana è ormai parte di un brand: la risultante del suo peculiare modo di essere simultaneamente scrittore-lettore-critico e letterato. Questo gli ha permesso l’essenziale distanza dalle emozioni che intende suscitare, con maggiore o minore consapevolezza del pubblico: emozioni evanescenti, mai rigidamente ritratte, sembra sempre di camminare in una sorta di acquerello: tornare a più riprese su alcuni tratti, diluirli o segnarli, tutto giocato su antitesi: nitidezza e sfocatura, ad esempio, da ‘regista in potenza’, o da ‘impressionista latente’.
Leggere Calvino può creare dipendenza, sa far girare la testa come in un valzer: il valzer delle incertezze
Le immagini evocate dai titoli più famosi: Il barone rampante, Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente, Le città invisibili, Gli amori difficili e potrei continuare, accennano a storie che sanno ancora parlare al presente, perché di contenuto universale, così come universale è la fenomenologia del racconto imbastito da Calvino. A questa intramontabile sensibilità, s’aggiunga il “noumenico”, ovvero tutto ciò che resta inespresso, fuori dal dominio del raziocinio, ma che pure avvertiamo sospeso tra significato e significante. Artigiano della parola, elabora e lima, taglia, cuce e posiziona ogni tassello, aiutandosi con molteplici ricerche stilistiche collaterali: il lessico ricercato è ricco di contraddizioni sottilissime, che lo rendono appunto “calviniano”. Maestro di una faticosa “perfezione” non priva di sfumature.
La varietà non può darsi senza passaggi di stato repentini, la narrazione evapora e finisce per scemare (come nei tanti incipit contenuti nel romanzo citato in apertura) ma il lettore ha stretto un patto segreto con il Calvino-scrittore, dunque sa che non resterà deluso dal suo improvviso svanire nella nebbia. Ogni escamotage serve a restituire (e ricostruire) una verità che non è mai conquista definitiva, ma infinita tensione tra: scrittore-lettore, lettore-situazioni, situazioni-personaggi e viceversa, in un folto corrispondersi e in uno scambio che va ben oltre lo spazio del racconto. Leggere Calvino può creare dipendenza, sa far girare la testa come in un valzer: il valzer delle incertezze. Una geniale circolarità, gentile e ferocemente condotta per impedire (o soltanto ritardare) l’avanzare del Nulla cosmico.
Leggere è già di per sé un atto rivoluzionario e d’opposizione alla vacuità imperante. Il vuoto di senso prodotto dall’oscurità delle guerre mondiali, il vuoto valoriale a cui la società neoliberista provò a fare fronte, la morte del divino e il mancato conforto della salvezza post mortem, la frenesia e il disorientamento di una ricostruzione dopata, innaturale, incompiuta e velocizzata, l’inconsistenza dell’essere e la sua maestosa meraviglia, la dolorosa incomunicabilità...
Leggere è già di per sé un atto rivoluzionario e d’opposizione alla vacuità imperante
L’horror vacui, proprio del mondo figurativo e spesso incontrato anche nella storia della letteratura italiana (e mondiale), non condizionò mai lo stile anti-orpello di Calvino che, anzi, persevera in una brevitas formidabile, curando la lingua, l’andamento e lo stile: elegante ed immediato, anche quando volutamente allusivo e ironico. A ragione resta pietra miliare di una moderna classicità, permette di cogliere il fascino della narrazione e della meta-narrazione: restituendo un disegno sempre nuovo della Realtà, colta quasi di soppiatto.
La realtà calviniana, in sintesi, per me assomiglia ad una bimba saggia, e già di per sé strana. Imprevedibile, capricciosa, a tratti svampita e autoironica; a tratti bisbetica e cinica. Ecco, forse quello che in molti amano di Calvino è la sua infallibile capacità di osservare e trasformare il reale, senza rinunciare al potente spettacolo del suo rovescio (l’irreale): donandoci una visione malinconica ma avvincente, caleidoscopica, indomita e terribilmente affascinante.
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