Intervista a Seconda Cura per il TDoR
- Mario Bove

- 20 nov
- Tempo di lettura: 11 min
In occasione del Transgender Day Of Rememberance, abbiamo contattato l’associazione universitaria “Seconda Cura” presente nell’ateneo di Salerno. La tematica del benessere psicologico e fisico di persone trans è al centro della loro azione politica di sensibilizzazione della popolazione studentesca. La loro attività è volta all’inclusione e all’affermazione dell’identità di genere come esistenza al di là delle impersonali imposizioni binarie della società.

Come è nata questa associazione e con quali scopi?
Link Fisciano è un’organizzazione studentesca a stampo sindacale che nasce a livello nazionale e locale tra il 2009 e il 2010. Durante il periodo di mobilitazione innescato dalla Riforma Gelmini, che prese il nome di Onda, Link si fa portavoce dell3 student3[1] mettendo in rete realtà universitarie locali di ispirazione sindacale e politica, autonome e indipendenti, con l’obiettivo di promuovere i diritti dell3 student3 universitar3 e di affermarne il protagonismo nella costruzione di una società più giusta.
Il gruppo di lavoro Seconda Cura è un’appendice della struttura di Link Fisciano che nasce da una denuncia collettiva. Ha l'obiettivo di andare contro un sistema che non riconosce l’importanza del benessere psicologico dell3 student3 e l’importanza di un'educazione transfemminista[2] all’interno dei luoghi del sapere. Viviamo ogni giorno un’università che continua a negare servizi psicologici gratuiti e realmente accessibili. Inoltre mancano una carriera alias[3] funzionante lontana dalla narrativa transmedicalista[4] e un centro antiviolenza accessibile. Abbiamo identificato insieme la necessità di trattare i temi del transfemminismo e del benessere psicologico in modo intersezionale[5], in quanto interdipendenti.
Poiché la tutela verso la comunità studentesca è pressoché inesistente, abbiamo deciso di organizzarci come spazio d’ascolto, di supporto e di analisi, con l’obiettivo di migliorare il rapporto tra student3 e ateneo attraverso iniziative culturali, formative e politiche. Ci poniamo come alternativa a un sistema accademico incapace di considerare i bisogni reali delle persone che lo vivono.
Oggi l3 student3 vivono stati di ansia, agitazione, paura del futuro e pressioni accademiche che soffocano la crescita personale. In un Paese in cui la salute mentale non è considerata un diritto, dove mancano psicolog3 di base e gli sportelli d’ascolto sono assenti, il risultato è drammatico. Per questo, come student3 dell’Università degli Studi di Salerno, rivendichiamo che la salute mentale sia finalmente riconosciuta come diritto universale, gratuito e accessibile.
Come si può entrare in contatto con voi e come agite?
Entrare in contatto con noi è semplice: basta un messaggio su Instagram, una chiacchierata, o un incontro informale. Il nostro gruppo di lavoro funziona tramite assemblee settimanali, momenti orizzontali in cui tutt3 possono parlare, proporre, ascoltare e sentirsi ascoltat3. Ogni assemblea è seguita da una sintesi condivisa, così che anche chi non ha potuto partecipare possa essere aggiornatə[6] e avere un quadro chiaro delle decisioni prese collettivamente.
Evitiamo momenti istituzionali perché vogliamo creare spazi sicuri, accoglienti e non giudicanti. La nostra forza è proprio l’orizzontalità: nessunə è esclusə e ogni voce ha lo stesso valore.
Alla comunità studentesca poi giungono eventi formativi e culturali, assemblee aperte di ascolto e supporto, momenti di sensibilizzazione sui temi del benessere psicologico, della salute mentale e delle questioni transfemministe. In questo modo, l’impegno delle assemblee si traduce concretamente in iniziative che coinvolgono tutt3 e creano occasioni di confronto, crescita e partecipazione attiva all’interno dell’università.
Come avete scelto il nome “seconda cura”? Cosa del pensiero di De Beauvoir vi ha ispirato?
“Seconda Cura” nasce da un’idea semplice ma rivoluzionaria: la cura è resistenza. “Prendersi cura” significa riconoscere le oppressioni, vedere chi resta ai margini, trasformare i luoghi del sapere in spazi sicuri, intersezionali e realmente inclusivi.
Oggi, nel sistema universitario, la cura continua a essere ignorata. Siamo costrett3 a dimostrare valore in ogni istante. La cura della salute mentale, dei corpi marginalizzati, delle relazioni, rimane sempre “secondaria”. Ed è proprio questo che denunciamo: la salute mentale è trattata come il male minore rispetto alla salute fisica, così come le soggettività non etero-cisnormate[7] vengono relegate a ruoli secondari nella società e negli spazi accademici.
Il riferimento a Simone de Beauvoir è diretto: in «Il Secondo Sesso» mostra come le donne siano state costruite socialmente come “l’Altro”, subordinate al soggetto maschile e normato. Allo stesso modo, anche la salute mentale e le identità non conformi vengono considerate “altro”. De Beauvoir denuncia la costruzione patriarcale dell’identità e questo ci permette di intrecciare le lotte transfemministe e queer[8], riconoscendo che genere, identità ed espressione sono processi culturali e politici. Il nostro obiettivo è una società della cura, in cui meritocrazia e normatività non siano strumenti di esclusione, ma vengano superate da un sistema realmente inclusivo.
Qual è la situazione delle persone transgender nelle scuole e nelle università? E a Salerno?
Le scuole sono spesso i primi luoghi in cui il corpo trans[9] viene controllato: ci sono dress code sessisti, bullismo omolesbitransfobico normalizzato, linguaggio discriminante che non sempre viene riconosciuto come violenza. Per molte persone trans, mostrarsi già da giovani è un atto rischioso, perché la scuola non garantisce né riconoscimento né protezione.
In Italia mancano ancora l’educazione sessuo-affettiva adeguata, i bagni neutri, percorsi formativi per il personale scolastico e carriere alias funzionanti. L3 minorenni trans hanno spesso spazi limitati per autodeterminarsi, farsi ascoltare e rivendicare diritti.
La mancanza dell'insegnamento del rispetto verso sé e l3 altr3 provoca marginalizzazione, infatti il 66,1% delle persone trans “out” dichiara di essersi sentitə discriminatə a scuola o all’università.
In termini di salute mentale, diversi studi mostrano un alto livello di sofferenza, in cui la depressione colpisce circa il 40% delle persone trans. Infatti, è fondamentale riportare che secondo rapporti internazionali e ricerche attuali, fino al 42% delle persone adulte trans ha tentato il suicidio almeno una volta nella vita. L’Osservatorio di Non Una di Meno (NUDM) documenta casi di suicidi indotti da violenza omolesbitransfobica: ad esempio, nel 2025 sono stati registrati numerosi suicidi di ragazzi trans e persone non binarie.
Anche per l’Università di Salerno i temi sulla salute mentale sono marginali: un Centro Antiviolenza, un servizio psicologico adeguato, un percorso chiaro e accessibile per la carriera alias, strumenti per affrontare discriminazioni accademiche e abusi di potere.
I suicidi non sono casi rari e nonostante ciò non abbiamo dati pubblici e sistematici: l’ateneo non sembra rendere noto un conteggio annuale dei suicidi tra l3 student3. Questo silenzio è parte del problema: se non si parla apertamente di questi numeri, è molto più difficile costruire politiche di prevenzione efficaci, creare servizi di supporto psicologico adeguati e realtà universitarie più sane. Ogni morte studentesca non può essere considerata “un fatto isolato”, ma un allarme da cui partire per trasformare le condizioni di vita all'università.
Tra questi problemi c'è quello della carriera alias, che “sulla carta” esiste, ma di fatto non è attivabile: il CUG (Comitato Unico di Garanzia) è rimasto inattivo per mesi, bloccando ogni possibilità reale. Inoltre la possibilità di accedervi è riservata a chi ha già iniziato un percorso di affermazione di genere a livello medico, cosa che porta a escludere chi non l’ha iniziato a causa di tempo, volontà o risorse. Nel frattempo, student3 trans subiscono ogni giorno misgendering, esposizione forzata, umiliazioni e una burocrazia che diventa violenza. Il Consiglio degli Studenti ha approvato una proposta per estendere la carriera alias anche a chi non ha iniziato questo tipo di percorso, ma la questione non è ancora stata discussa in Senato Accademico: questa inerzia istituzionale ha un impatto diretto sulle vite di persone che non vogliono scegliere tra raccontarsi o sparire. Anche per questo che come organizzazione ci stiamo mobilitando con proposte temporanee, come ad esempio proporre in Consiglio Didattico l’utilizzo esclusivo del cognome e/o del numero di matricola durante gli appelli agli esami.
Che importanza ha per voi utilizzare pronomi, aggettivi e nomi adeguati? Cos’è un “chosen name”?
Rispettare pronomi, aggettivi e nomi è fondamentale: significa riconoscere l’identità di una persona e validarla. Non è una formalità linguistica, è cura, autodeterminazione, dignità. Molte persone trans vivono la propria identità come un percorso attraversato da rabbia, euforia e comunità. Un nome scelto, il chosen name, o meglio il nome d’elezione, è uno strumento concreto per vivere meglio, per sentirsi sé stessə, per liberarsi dal disagio e dalla violenza simbolica del deadnaming. L’identità non nasce solo dalla disforia di genere, nasce dal sentirsi legittimə in un corpo politico che non si lascia più mettere in un angolo. Garantire un ambiente sicuro e transfemminista parte da qui: dal rispetto dell’identità dell’altrə. Rispettare un nome, un pronome, un aggettivo significa non costringerci a scegliere tra visibilità e sicurezza; significa permetterci di esistere senza difenderci continuamente; significa, molto semplicemente, cura.
Come si può agire per migliorare il benessere delle persone trans nella società?
Viviamo in una società costruita su modelli patriarcali e cisnormativi che continuano a ignorare o marginalizzare le persone trans. Ma il cambiamento è possibile e passa attraverso:
educazione sessuo-affettiva nelle scuole;
informazione accessibile e continua;
formazione per docenti e personale;
visibilità;
spazi sicuri e transfemministi;
strumenti concreti come carriera alias, bagni neutri, percorsi sanitari gratuiti e dignitosi.
La rabbia trans è rabbia collettiva: molte lotte femministe e queer sono nate proprio grazie alle persone trans. Non si tratta di “una minoranza”: si tratta di un movimento ampio che parla di liberazione per tutt3.
C’è spazio per l’intersezionalità nelle lotte?
L’intersezionalità non è un’aggiunta opzionale alle lotte, è il loro punto di partenza. Le oppressioni hanno la stessa matrice patriarcale e capitalista e solo riconoscendone l’intreccio possiamo abbatterle davvero. L’intersezionalità permette di costruire movimenti uniti, capaci di portare avanti lotte comuni senza gerarchie interne, riconoscendo che nessuna liberazione è completa se non include quella di tutte le soggettività discriminate. Quindi la risposta è assolutamente sì, e non potrebbe essere altrimenti. Parlare di diritti, di università senza considerare come si intrecciano genere, classe, razza, orientamento sessuale, abilità, status economico e culturale significa raccontare solo un pezzo della realtà. Per noi intersezionalità significa capire che non tutte le persone vivono l’università allo stesso modo. Una studentessa trans non affronta le stesse barriere di uno studente cis, una soggettività razzializzata vive spazi e sguardi diversi da una persona bianca, una persona neurodivergente incontra ostacoli che spesso chi progetta le strutture universitarie non vede nemmeno. Per questo crediamo che il benessere passa attraverso l’accesso alla cura, attraverso la sicurezza degli spazi, il linguaggio rispettoso, le possibilità economiche, il diritto allo studio, la rappresentanza, e passa dalla consapevolezza che alcune identità vengono sistematicamente marginalizzate.
Fare politica dentro l’università significa ascoltare chi è ai margini, costruire alleanze, rifiutare un’idea di comunità che funziona solo per chi detiene già privilegi. L’intersezionalità è lo strumento grazie al quale possiamo guardare la complessità della realtà e a costruire lotte che non lascino indietro nessunə. Se vogliamo davvero immaginare un’università più giusta, la strada non può che partire da qui: riconoscere gli intrecci delle oppressioni e trasformarli in intrecci di solidarietà.
Pensate si possa riprendere il dialogo con ArciLesbica?
No. ArciLesbica, negli ultimi anni, ha assunto posizioni apertamente escludenti e transfobiche, negando la legittimità delle identità trans e non binarie. Dal rifiuto di riconoscere le donne trans come donne, alla diffusione di narrazioni TERF[10] che danneggiano la comunità, è evidente che non esiste un terreno comune basato su rispetto, autodeterminazione e intersezionalità. Hanno pubblicato comunicati in cui si affermava che le donne trans non siano “vere donne” e che non possano partecipare pienamente alle lotte femministe. Queste posizioni negano l’identità, l’esperienza e la legittimità delle persone trans, oltre che parte della storia del movimento femminista e queer, danneggiando l’intera comunità.
Ribadiamo con forza che le donne trans hanno sempre fatto parte integrante delle lotte femministe e queer: molte battaglie per i diritti civili, per la liberazione sessuale e per la giustizia di genere sono nate grazie al loro impegno e alla loro resistenza. Negare questo significa cancellare la storia. La nostra priorità resta costruire spazi sicuri e intersezionali, rafforzare alleanze reali e continuare a far avanzare le lotte transfemministe senza compromessi.
La storia del femminismo dimostra che il transfemminismo non è un’appendice, è parte integrante del movimento. Già negli anni ’70, figure come Margot Schulster, attivista femminista e trans, hanno contribuito a portare analisi radicali sul genere, sostenendo che il sessismo non può essere compreso senza includere le esperienze delle persone trans. Intellettuali queer come Jack Halberstam hanno teorizzato pratiche di genere non conformi, come il drag king, che ridefiniscono i confini stessi del femminile e del maschile.
Attivistə storicə come Porpora Marcasciano hanno intrecciato lotte per i diritti trans con il femminismo, rivendicando autodeterminazione e riconoscimento.
Oggi, realtà come la mobilitazione “Veniamo Ovunque” dimostrano che le soggettività queer, trans e femministe continuano a costruire spazi di visibilità, piacere, sicurezza e politica intersezionale.
Teoriche come Julia Serano, nel suo Whipping Girl, evidenziano come la transfobia non sia un fenomeno marginale, ma radicato nelle strutture del sessismo stesso: il femminismo non può ignorare l’esperienza trans senza rinunciare alla propria completezza politica. Il transfemminismo non cancella le donne cisgender, anzi arricchisce e rafforza il movimento, mostrando che la lotta contro il patriarcato e le oppressioni di genere deve essere intersezionale e inclusiva.
In Italia, i movimenti transfemministi nascono e si consolidano attraverso reti associative locali e nazionali, dalle organizzazioni storiche come MIT (Movimento Identità Trans) alle reti contemporanee, fino ai collettivi e alle mobilitazioni queer più recenti. Questi percorsi dimostrano che la resistenza delle persone trans non è un’aggiunta al femminismo, ma un pilastro necessario.
Pertanto, mentre ArciLesbica tenta di negare la legittimità delle persone trans nelle lotte femministe, noi rispondiamo con la storia e con i dati: le persone trans non solo hanno sempre fatto parte delle lotte, ma sono state e continuano a essere fondamentali per la costruzione di un femminismo inclusivo, intersezionale e solidale. Negare la loro esistenza o il loro contributo significa minare le stesse fondamenta della giustizia di genere.

[1] Il simbolo “3” viene utilizzato come desinenza né maschile né femminile per superare l’utilizzo del plurale maschile sovraesteso e poter indicare così gruppi composti da maschi, femmine e transgender. Viene adoperato per articoli, nomi e aggettivi. Viene spesso utilizzato in alternativa alla schwa (vedi sotto).
[2] Transfemminismo: espressione del femminismo degli inizi del terzo millennio che, rispetto a quelle storiche degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, rifiuta il binarismo di genere e, a partire dalle esperienze e dalle posizioni politiche dei movimenti delle donne trans, accoglie come proprie le lotte di liberazione contro il patriarcato espresse da soggettività diverse, note e nuove. Cfr.: https://www.treccani.it/vocabolario/neo-transfemminismo_(Neologismi)/
[3] Procedura amministrativa che, sulla base di un accordo di riservatezza tra scuola o ateneo, studente e famiglia (nel caso in cui lo studente sia un minore), prevede la possibilità di modificare in registri e atti interni il nome anagrafico dello studente con quello scelto dallo studente stesso, nel caso che quest’ultimo sia una persona transessuale o abbia avviato un percorso di transizione. Cfr.: https://www.treccani.it/vocabolario/neo-carriera-alias_(Neologismi)/
[4] Chi considerano transgender solo persone con l'esperienza o la diagnosi di disforia di genere o il desiderio di determinati tipi di cure mediche per affermare il proprio genere.
[5] Che tenga cioè conto delle diverse identità che compongono l’individuo (genere, etnica, religione, censo…) e le relative discriminazioni e oppressioni associate.
[6] Il simbolo “ǝ” è il fonema “schwa”, un suono vocalico a metà fra la “a” e la “e”. Non è utilizzato nell’italiano standard ma è presente in altre lingue come l’inglese (ad esempio all’inizio di about o around, o alla fine di teacher o doctor). Il simbolo viene utilizzato come desinenza di parole (nomi, aggettivi, articoli) alle quali si voglia dare una connotazione che vada oltre i generi grammaticali maschile e femminile, ampliandone così la loro capacità di riferimento a persone che non si identifichino nei due generi biologici o evitando il maschile sovraesteso per casistiche che includano il genere femminile (es. utilizzare la parola “studenti” per gruppi che contengano anche studentesse). Cfr https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html
[7] Etero-cis-normatività si riferisce alla visione dominante secondo cui sesso di assegnazione, genere e orientamento sessuale coincidano. Deriva da cis-gender cioè la persona che si riconosce nel sesso riconosciuto alla nascita e, quindi, assegnato.
[8] Termine mutuato dall’inglese “strano, bizzarro”, indica in accezione positiva e in senso politico/culturale tutte le sfaccettature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, rifiutando le categorizzazioni. Cfr.: https://antidiscriminazione.comune.brescia.it/queer-definizione
[9] Abbreviazione di transessuale, persona che, genericamente, non si identifica nel sesso assegnatole alla nascita. Sotto il termine transgender rientrano persone transessuali, ma anche non binarie, gender-fluid, agender, genderqueer, genderflux, genderfuck, in generale gender non-conforming. Cfr. https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html
[10] Trans-Exclusionary Radical Femminist (femminista radicale trans-escludente). Posizione affermata da alcune femministe radicali che tende ad escludere le donne trans dal novero del genere femminile e dai diritti associati. Può sfociare in una esplicita forma di trans-fobia.





