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Il valzer degli addii: Milan Kundera e il tema dell’aborto

Da poco è ricorso il secondo anniversario della morte dello scrittore ceco Milan Kundera e, per l’occasione, ho deciso di parlare de Il valzer degli addii, un romanzo del 1973, uscito in Italia qualche anno dopo. 

Milan Kundera - Elisa Cabot, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons
Milan Kundera - Elisa Cabot, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Come ammesso dallo stesso autore, non è un libro gli altri, in quanto ha una storia omogenea e molto teatrale. È, infatti, un romanzo composto in cinque atti che trattano la stessa materia. Cinque atti come i giorni che trascorrono e in cui si svolge la vicenda di Ruzena, un’infermiera di un centro termale distante da Praga che, dopo aver trascorso una notte d’amore con Klima, noto trombettista nazionale e già sposato con Kamila, scopre la sua gravidanza.

 

Klima prova in tutti i modi a convincere Ruzena a non tenere il bambino e, dunque, ad abortire. Così il romanzo si sposta sul dibattito etico-religioso relativo a questo tema, ancora oggi molto discusso, e contrappone due visioni: la fede e la scienza. La prima incarnata da Bertlef, un facoltoso uomo americano di mezza età, strenuo difensore della cristianità; la seconda da Skreta, un ginecologo arrogante difensore di un senso etico molto elastico circa la pratica abortiva e la sterilizzazione delle pazienti, spesso usate per compiacere amici e conoscenti. Skreta si descrive come un sognatore ma è soltanto un affabulatore compiacente.

 

Nel lungo dibattersi della storia un ulteriore personaggio, Jakub, accompagna il lettore ed interviene come terzo polo non prevedibile rispetto al conservatorismo religioso e al progressismo eugenetico, che è il caso. Questo personaggio è presente in tutta l’opera e si presenta inizialmente come un risolutore di problemi ma, piano piano, diventerà il personaggio che stimolerà la riflessione dei personaggi nel decostruire le loro certezze non solo relative alla fede e alla scienza, ma anche circa l’amore, la morte e il caso stesso, la componente irrazionale della vita umana. Sfuma, stratifica e destruttura tutti questi temi in base agli otto protagonisti del romanzo: basti pensare all’amore, percepito in modo consapevolmente geloso e all’accettazione di un tradimento interpretato come qualcosa di possibile, che vive Kamila; o all’amore fragile vissuto, invece, da Ruzena, che riflette sulla natura del suo sentimento nei confronti di Klima e la sua paura della perdita dell’amato.

 

È la vulnerabilità e la precarietà della vita, mossa da ideologie, convinzioni e dalla sua stessa irrazionalità a muovere le grandi questioni filosofiche che Milan Kundera condivide in quest’opera, con il suo inconfondibile stile, un mix tra umorismo e malinconia.

 

Nel porre l’attenzione su queste grandi questioni dell’esistenza, da studioso di filosofia, mi ha colpito la ciclicità della vita, in cui inevitabilmente rientrano tematiche come l’aborto. Le opere degli anni Settanta e Ottanta sembrano intramontabili per il loro incredibile senso di attualità. I pessimisti potrebbero considerarle come un tornare indietro, un regresso ideologico; gli ottimisti le vedono come un riflettere su alcuni temi dell’umano, offrendo un orizzonte ad argomenti di difficile lettura e di complessità etica. I realisti invece punteranno sulla libertà di coscienza, secondo la quale la vita è una e – seppur condivisa con miliardi di persone – è mia, io sono dunque libero di scegliere ciò che reputo meglio per me stesso, senza ledere l’esistenza e la libertà degli altri esseri viventi. Ed è forse questo il cardine che rende queste tematiche così complesse da interpretare.

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