Il difficile cammino verso l’unità sindacale dopo le manifestazioni del 22 settembre
- Massimo Battiato

- 30 set
- Tempo di lettura: 3 min
È indubbio che la riuscita delle manifestazioni del 22 settembre in solidarietà alla Global Sumud Flottilla e ai gazawi sotto assedio dell’esercito israeliano abbia creato più di un imbarazzo alla dirigenza della CGIL. Alla mobilitazione del 22 settembre dei sindacati di base USB la CGIL aveva quasi contrapposto, almeno da più di qualcuno è stato interpretato così, una mobilitazione più soft, minimo due ore, per il 19 settembre, praticamente il giorno lavorativo precedente alla mobilitazione del 22 settembre indetta molto prima.

Sull’adesione dei lavoratori dell’industria e commercio a entrambi gli scioperi non si è parlato. Non credo che sia stata molto alta almeno nel settore privato, per quanto il tema sia sempre più sentito e in maniera trasversale, non solo dai militanti di sinistra. Quello che è invece assolutamente certo è che le piazze sono state molto più piene il 22 settembre, segno che la chiamata alla mobilitazione dell’USB ha avuto più seguito nella società civile.
Così sono passati diversi giorni che definirei imbarazzanti per la CGIL, durante i quali non ha emesso neppure un comunicato stampa o un articolo su Collettiva. Ma, in seguito ad alcune contestazioni e alla presa di posizione unitaria dei sindacati dei portuali a Genova, la direzione nazionale ha ammesso l’errore e si è impegnata a seguire un percorso comune con chi avrà intenzione di organizzare mobilitazioni in solidarietà con i gazawi e i coraggiosi attivisti della Flottiglia.
In realtà per chi non conosce le dinamiche interne all’organizzazione sindacale più grande e longeva d’Italia, a cui appartiene il sottoscritto, non può sapere, magari lo può intuire dall’esterno, che ormai da diversi anni – direi da ancor prima che cominciasse il primo mandato da Segretario Generale di Maurizio Landini – stanno convivendo all’interno dell’organizzazione due modelli sindacali alternativi: uno tradizionale e contrattuale che si occupa di politica che riguarda strettamente i temi del lavoro e che cerca al massimo di influenzare la scelta dei partiti e dei governi; e uno più movimentista che vorrebbe dialogare a tutto campo con la società civile e occuparsi di politica più direttamente, senza candidature alle elezioni, così come è successo con i referendum dell’8/9 giugno. Ed è abbastanza comprensibile l’esigenza di un sindacato movimentista in un quadro in cui la politica ha smesso di presidiare certi temi che sono importanti per i lavoratori e i pensionati e per le fasce emarginate della società. Pur tuttavia non è pacifico per molti attivisti e funzionari sindacali aderire a questa direzione movimentista e non sono poche le resistenze.
Il mio pensiero è che nella situazione politica attuale è quasi una necessità che il sindacato vada a occupare gli spazi lasciati vuoti dalla politica, e chi dovrebbe farlo se non la CGIL? E se invece che essere affiancata dagli altri sindacati confederali su alcune questioni condividerà un percorso comune con le sigle di base, non dovrebbe essere un problema. Questo dovrebbe portare a superare, da parte di tutti gli attori coinvolti, le logiche autoreferenziali. Certo è fondamentale che tutto ciò avvenga trovando un giusto equilibrio tra sindacato di movimento e sindacato contrattuale di cui c’è comunque bisogno.
Una considerazione finale. L'esperienza della raccolta firme e della campagna elettorale referendaria, pur portando a un risultato fallimentare in quanto il quorum non è stato neppure sfiorato, ha permesso alla CGIL di migliorare e potenziare le relazioni con la società civile andando a toccare fasce della popolazione poco sindacalizzate. Il fatto che nell’occasione dei referendum la partecipazione al voto dei giovani tra i 18 e i 34 anni avrebbe permesso il raggiungimento del quorum dovrebbe far riflettere dirigenti e attivisti dell’organizzazione (ed è ciò che sta succedendo). Trovare un equilibrio tra sindacato movimentista e tradizionale è più che mai necessario, non solo nella CGIL.





