Dare la vita è l'atto più serio, complesso e faticoso che esista, insieme al mantenimento di quella nuova vita e alla sua educazione/evoluzione. Non si tratta di "missione rigenerazione" né di conservazione della specie, o, peggio, di gara al raggiungimento di obiettivi invisibili ma fortemente agenti a livello sociale e inconscio. Mettere al mondo un'anima nuova, (che lungamente sarà dipendente e non sarà completamente in grado di badare a sé, perché per natura verrà esposta a molteplici pericoli fin dal concepimento) e farne una persone, implica un progetto a lungo termine che coinvolge non soltanto la famiglia, ma l'intera società, con un investimento energetico senza eguali: prospettiva che nessun genitore può permettersi di non considerare prima di procedere. Chissà quanti condividono a priori la mia percezione della genitorialità? Parlo da figlia, non da generatrice. Inoltre, tecnicamente, a mutare e a realizzare tale progetto è coinvolto non soltanto il caro nuotante e arzillo spermatozoo, ma un corpo, quello materno che ospita per 9 mesi un'altra "vita" e che, per questo, subisce una metamorfosi dolorosa, considerevole e stravolgente, per quanto affascinante, dal punto di vista scientifico.
Il genere maschile non sa, né saprà mai cosa si provi, mentre il genere femminile è combattuto: alcune donne sono più propense alla maternità, altre finalmente trovano il coraggio di differire pubblicamente dai modelli preconfiguranti la maternità come naturale vocazione femminile. Era ora, ma mai come ora questa acquisizione, in termini di consapevolezza di genere e individuale, sta subendo attacchi dalle istituzioni nazionali ed ecclesiastiche. Come procedere allora, se non con una preghiera laica?
Madre nostra che vaghi tra i peggiori sobborghi di città indifferenti e ostili, guarda a questo mio corpo che custodisce il frutto dell'orrore a cui non ho potuto sottrarmi né ho saputo oppormi.
Madre nostra che sei sepolta e sperduta nei quartieri di lusso di Hollywood, guarda a questo mio cuore che non batte più regolare al solo pensiero di non poter fermare la spirale di vergogna, isolamento e depressione in cui sono finita, mio malgrado.
Madre nostra che sei nelle case ben arredate di borghesucci appartenenti a comunità standardizzate, percepiti come esemplari di buon tuono dai propri pari, rivolgi a me la tua pietà. Almeno tu non giudicarmi, non avrei mai sposato il mio aguzzino e, credimi, non c'è nessuno che senta più di me il peso delle promesse fatte davanti a Dio e ai parenti cari. Dove sono tutti quando si ha bisogno di aiuto? Dio, se c'è, si nasconde bene! I parenti e gli amici non credono alla mia prigionia, o, quando lo fanno, se lo fanno, è già tardi, si è già in terre desolate e sabbie divoratrici.
Madre nostra che sei nei cieli, nei mari e nei miei abissi, tu che hai dovuto dire sì, senza poter replicare. Tu che eri così piccola e pura, la prescelta. Tu, destinata a diventare la madre di tutti, senza obiezioni né alcuna opposizione possibile, senza alternative, con grossi dolori impliciti e pure metafisici, come stai? Te l'hanno mai chiesto? E perché, ahimè, la tua risposta non mi è mai giunta!? Avresti tu optato per l'aborto se ne avessi avuta l'occasione? O preghi vadano all'inferno i non obiettori di coscienza?
Sì, riflettendo con distacco, alla fine la sua non è stata una storia poi così "brutta", chi glielo doveva dire che sarebbe diventata la madre di dio, la vergine delle vergini, la regina del cielo, ecc... Insomma, la donna più importante al mondo, il rifugio e l'advocata per generazioni e generazioni: lei, un'anonima giudea, analfabeta e originaria della remota e rissosa provincia dell'impero romano: che potenza e che fascino conserva la sua sacra figura, il suo calvario e il suo rapporto così speciale con Gesù, il figlio che ha visto messo in croce.
Storia, però, consegnata all'umanità dal genere maschile, il genere dotto ed istruito per antonomasia, fin dalla notte dei tempi. E gli eruditi (in particolare religiosi, i patres) non potevano che indicare come sommo esempio di virtù impareggiabili per due millenni proprio Maria di Nazaret. Spiace constatare che alle donne, quelle terrestri e mortali e non elette a divinità, ancora oggi purtroppo, nel 2024, resta preclusa l'istruzione, soprattutto se di origini povere, forse per emulazione a questo modello supremo. Quanto sarebbe diversa la percezione che ho di Maria se al devoto e maestoso "sia fatta di me la tua volontà", avesse risposto, non so, qualcosa tipo "avrei preferenza di no". Onesto e gentile diniego, in linea con il suo essere in effetti soltanto un'adolescente spaurita e semplice.
Lasciate da parte le libere speculazioni narrative evocate da questa preghiera laica, immagino potrebbero insorgere frotte di risentiti credenti, ma, giuro, non era mia intenzione ledere la sensibilità religiosa di nessuno! Chiedo venia e oppongo una strenua apologia delle mie volontà puramente evocative e della mia libertà d'espressione, dato il Paese e l'epoca in cui credo di agire. Ossequi vivissimi, fratelli e sorelle, e le mie più sentite scuse: non v'affannate a odiarmi per così poche righe. Pace e bene, citando San Francesco!
Ora, ci terrei a intercettare le persone dal credo liquido, ibrido: quelle che non sanno, non vogliono, non possono definire con chiarezza il proprio sistema valoriale, ancor meno in relazione al gender gap. Quelle che magari neanche sanno bene cosa s'intenda con questo prestito dall'inglese e, per questo, se lo vanno a cercare su Google. Quelle che nemmeno se lo pongono come problema, esercitando il falso conforto dell'indolente indifferenza/insofferenza al tema e alle questioni correlate.
Spesso si tratta proprio della maggioranza, grossissima massa di persone per bene, diciamolo subito, che vivono e lasciano vivere, come filosofia di vita. Tuttavia, s'illudono di farlo, credendo fermamente di non avere alcuna voce in capitolo mai, drammaticamente convinte che non serva a nulla opporre riserve e veti su fatti di attualità, scomodi e dolorosi.
A voi mi sento di chiedere un importante inversione di stile di vita: riappropriatevi del criticismo sano di cui non siete affatto sprovvisti. Tornate a interessarvi di questioni così salienti. Basterà applicare una seria, lenta, attenta rivisitazione dei concetti in campo. Non ho l'autorità né l'autorevolezza per chiedervi così tanto, ma mi sembra la nostra sia un'alleanza resa ancor più necessaria dalla durezza dei tempi! Credo si abbiano maggiori speranze insieme, monitorando con sguardo critico e impietoso il caos presente, su questioni che solo apparentemente ci appaiono estranee, lontane e sconosciute, eppure così universali e vicine.
Aborto non è sinonimo di "passeggiata di salute", "soluzione liberatoria e serena", "sterminio
cinico del feto", "libertà e strapotere materno" e simili. Aborto non sta per "ma sì, mi sbarazzo di questo errore collaterale e torno a spassarmela". Giammai! Parlarne significa immergersi in un dolore assoluto, atavico e che fa rabbrividire anche i più temerari.
Attenzione ai dati Istat, partirei da lì: leggerli, comprenderli e monitorarli. Certo, interpretarli in solitaria forse non è semplice, ma intuitivamente dà un primo focus sulla vastità della materia, utile per avviare un processo di comprensione del fenomeno nella sua ampia complessità. Oltremodo importante è sottolineare quanto sia poco nota e sotterranea la storia della pratica (o delle pratiche) a cui le donne si sottopongono. Le nazioni si interrogano, valutando principalmente le ragioni etiche, ma quante delle persone chiamate a votare, donne e uomini onorevoli, sono ben documentate rispetto a ciò che clinicamente vive e subisce una donna che affronta una pratica di aborto? Rischi e benefici, luci e tenebre vanno studiate, divulgate e conosciute a menadito: altrimenti il quadro sarà sempre parziale e il puzzle incompleto.
La pagliuzza e la trave: prima di trattare il macroscopico interrogativo che suggelli legalmente il confine tra cumulo di molecole soggette a meiosi ed essere umano: io farei focus sull'azione che compete la donna, accantonando le sorti dell'embrione. La potenzialità che esso esprime e rappresenta, l'alfa e l'omega della generazione, passa attraverso il corpo femminile: si tratta di un potere enorme al quale si deve abbinare un consolidato senso di responsabilità che, ogni giorno, purtroppo, si trasforma/si deforma in senso di colpa, inadeguatezza, solitudine esistenziale, sudditanza psicologica, prigionia fisica, mentale, spirituale. Nascere donna non dovrebbe più essere uno svantaggio, in qualunque luogo del Pianeta, dal momento che il progresso di cui siamo fautori, usufruitori e testimoni diretti non ammette ignoranza o anacronismo.
Se, anziché contrastare lo sviluppo di un successo costituzionale e di un diritto acquisito a fatica, sul sangue di molte donne che sono morte protestando per quelle che intanto morivano in segreto e alla mercé di opportunisti incompetenti, ci si sforzasse di rendere note e studiate le pratiche ospedaliere esistenti a cui le donne vanno incontro… Se si diffondessero i dati Istat dedicati alle interruzioni di gravidanza volontarie e questa casistica diventasse oggetto di studio e materia per convegni indetti non per l'abolizione di una libertà conquistata, ma in favore di un dialogo permanente, fondato sulla tolleranza e conoscenza dei tanti temi interconnessi all'aborto, forse il cammino collettivo della nazione potrebbe finalmente dimostrare di aver raggiunto una seria maturità.
Madre nostra che sei in ognuno, e di ognuno ti fai garante e custode, fa che all'orrore non sia mai aggiunto altro stupido orrore: rendici perfettamente coscienti dei nostri atti, delle nostre scelte e rinnova la forza della coscienza collettiva intorpidita e assopita.
In nome dell'Habeas corpus act, 1679, non è forse giunto il momento di cooperare sul serio per provare a rendere meno infelice e invivibile questo nostro transito collettivo?
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