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Descrizione di un setting di… bisogni

Trovo civile che nell’ambito della scuola si considerino tutti i bisogni. Se la scuola è il primo approdo sociale del bambino fuori dal nucleo familiare, è giusto che essa gli insegni in primo luogo che nessuno è uguale a un altro e che insieme siamo tutti diversi, ma che la comunità deve saper dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno e non trattare tutti allo stesso modo come se fossimo una massa informe. Abituarsi a questo concetto è già un contributo importante alla costruzione di una società inclusiva. Perché è questo l’orizzonte, quale altro altrimenti?

 

Insegnare a tutti che l’esistenza stessa di una sola persona con un bisogno renda quel bisogno reale è un esercizio di consapevolezza anche per gli adulti della comunità educante. Mi viene il sospetto che lo sia soprattutto per quelli che lamentano la eccessiva medicalizzazione del percorso scolastico. 

Con la direttiva c.d. “B.E.S.” del 27 Dicembre 2012 il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca ha precisato, infatti, che i “Bisogni Educativi Speciali” debbano essere riconosciuti agli studenti che vivono uno svantaggio scolastico ovvero con disabilità riconosciuta dalla L. 104/1992 oppure con Disturbi Evolutivi specifici, quali i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (D. S. A.), tutelati dalla L. n. 170 del 2010, ma anche Disturbi del Linguaggio, della Coordinazione Motoria e della Comunicazione non Verbale, oppure dell’Attenzione e dell’Iperattività, mentre il Funzionamento Intellettivo Limite è considerato un caso di confine tra la disabilità e il disturbo specifico. I Bisogni Educativi Speciali comprendono però anche gli alunni che vivono disagi economici e sociali, dunque linguistici e culturali: pensiamo, per esempio, ai bambini che approdano nella loro classe anagrafica, ma a digiuno della lingua e dunque bisognosi di essere alfabetizzati e di percorsi ‘facilitati’, per affrontare al meglio le difficoltà intrinseche alla loro condizione. Ci sono infine gli alunni con Plusdotazione o gifted, come precisato dalla Nota MIUR n. 5623 del 2019, ovvero con un alto potenziale cognitivo. Ebbene sì, anche quelli particolarmente intelligenti possono vivere un disagio e avere bisogno di una didattica personalizzata, cucita addosso allo stile di apprendimento dell’alunno oppure impostata in maniera da incrociare tutti gli stili presenti in aula.

 

La logica sottesa a queste indicazioni ministeriali legge le difficoltà che rientrano nell’accezione di B.E.S. non sono soltanto in relazione a un disturbo oppure a una situazione di disabilità, ma anche a disagi di tipo emotivo e comportamentale, a svantaggi socio-economici e culturali, nonché a situazioni di fragilità anche temporanee. Perché tutti noi, ancorché a sviluppo tipico, potremmo vivere una situazione di disagio psico-fisico limitata nel tempo e dunque la scuola e la società devono essere attrezzate per evitare che la contingenza limiti il massimo livello possibile di sviluppo della persona. In ambito scolastico non si tratta di etichettare ogni singolo alunno, ma proprio di superare le singole categorie per implementare proposte che tengano conto della complessità, della eterogeneità e delle specifiche opportunità formative della classe stessa alla quale si intende parlare. Dunque il fine della lettura del disagio del singolo è pedagogico e non meramente diagnostico, è sociale e non individuale: dopotutto il legislatore parla ad insegnanti e non a medici! 

Per concludere con le parole di H. Gardner: la didattica diventa sempre più speciale ed inclusiva se riesce a differenziarsi in funzione dei diversi stili cognitivi degli alunni e in funzione delle diverse qualità dell’intelligenza di chi apprende.

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