Bari consegna le chiavi della città a Francesca Albanese, e sceglie da che parte stare
- Antonella Bellantuono

- 6 ago
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Bari è una città che non crede nei confini tra i popoli, tra le culture, e nemmeno tra le religioni. Il suo orizzonte è il Mediterraneo, in cui – come ogni vera città di mare – si tuffa non per fuggire, ma per abbracciare l’altro.
Lunedì 4 agosto 2025, questa città ha ribadito con forza la sua identità aperta, solidale e resistente, consegnando le chiavi delle sue porte a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati.
Tra le colonne e le volte del Teatro Piccinni, avvolte da bandiere palestinesi, il sindaco Vito Leccese ha accolto Albanese: “Bari è con te, perché voltarsi dall’altra parte non è mai stata un’opzione per noi.”
Con questo gesto, Bari è diventata la prima città d’Italia a consegnare le chiavi a Francesca Albanese, proprio in un Paese che – come ha ricordato lo stesso sindaco – non ha ancora riconosciuto lo Stato di Palestina, a differenza dei 147 Paesi membri delle Nazioni Unite che lo hanno già fatto.
La chiave è un oggetto semiotico potentissimo. Nel linguaggio politico classico, consegnare le chiavi significa affidare la città, aprirsi. Ma nel caso della Palestina, la chiave ha un peso ulteriore: è il simbolo del ritorno, quello negato ai milioni di profughi palestinesi che, dal 1948, custodiscono ancora – nelle proprie case, in esilio – le chiavi delle abitazioni che gli sono state strappate dagli israeliani. Un oggetto divenuto promessa di resistenza per tutte le generazioni future.
La risposta della relatrice è in piena sintonia con questo codice condiviso: “Le custodirò fino al giorno in cui potrò consegnarle al popolo palestinese.” Il futuro usato da Albanese non è ipotetico, ma reale; è soprattutto un futuro che chiama alla responsabilità.
Sulle sanzioni imposte dagli Stati Uniti – sanzioni che colpiscono non un crimine, ma una voce – Albanese ha parlato chiaro: “Non cederò a intimidazioni mafiose. Schiena dritta, testa alta. Insieme.”
Il suo è un linguaggio etico prima ancora che politico, che riecheggia quella tradizione civile che va da Hannah Arendt a Simone Weil: la resistenza come dovere della coscienza.
Molti la definiscono “divisiva”. Ma ieri, a Bari, ha unito. Ha unito lacrime e abbracci, applausi e cori. Ha unito una cittadinanza, attorno a un valore che raramente, oggi, riusciamo a pronunciare senza imbarazzo: la giustizia. Perché la Palestina ci sta mettendo davanti al futuro della mancanza di legalità.
Francesca Albanese, oggi, ha le chiavi di Bari. Ma Bari, oggi, ha aperto le proprie porte a un principio più grande. Alla speranza nella giustizia che – come il mare – non conosce confini e non si piega alle tempeste.






