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Verso la riforma della giustizia

Il 18 settembre scorso, la Camera dei Deputati ha approvato in seconda deliberazione il disegno di legge costituzionale che realizza la separazione delle carriere dei magistrati, con 243 voti a sostegno e 109 contrari, segnando una tappa fondamentale in questo complesso percorso legislativo. Trattandosi di una riforma costituzionale, disciplinata dall’art. 138 della Costituzione, il testo, noto come "ddl Nordio" (dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio), deve tornare al Senato per una quarta deliberazione, a distanza di non meno di tre mesi dalla precedente, e solo in seguito potrà essere sottoposto all'eventuale referendum popolare confermativo, qualora non venga approvato con la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le Camere.

Ministro della Giustizia, Carlo Nordio - © European Union, 1998 – 2025, Attribution, via Wikimedia Commons
Ministro della Giustizia, Carlo Nordio - © European Union, 1998 – 2025, Attribution, via Wikimedia Commons

La separazione delle carriere è uno degli argomenti più controversi e politicamente sensibili in Italia, tornato con forza al centro dell'agenda politica con l'insediamento del Governo guidato da Giorgia Meloni. L'obiettivo primario della riforma è scindere strutturalmente le funzioni e le progressioni professionali dei magistrati requirenti (Pubblici Ministeri e procuratori, che coordinano le indagini e sostengono l'accusa) da quelle dei magistrati giudicanti (i giudici che decidono e sentenziano). L'intento dichiarato è assicurare una maggiore terzietà e imparzialità del giudice, previsti dall’articolo 111 della Costituzione in riferimento ai principi del “giusto processo”. Questa battaglia storica del centrodestra fu già tentata dal Governo Berlusconi nel 2011 e in precedenza dai Radicali con un referendum nel 2000 che, tuttavia, non raggiunse il quorum.

 

Il confronto sulla riforma si articola su due fronti contrapposti: da una parte, i sostenitori vedono la separazione necessaria ad aumentare l'efficienza e la trasparenza del processo penale e dissipando ogni ombra di parzialità. Dall'altra parte, i critici temono che la riforma possa indebolire la figura del Pubblico Ministero e renderlo vulnerabile a potenziali pressioni politiche o governative, mettendo seriamente in discussione il fondamentale principio di obbligatorietà dell’azione penale. Attualmente, il sistema italiano prevede che giudici e PM facciano parte di un unico corpo unitario della magistratura, con accesso tramite concorso pubblico unificato e identiche garanzie di indipendenza costituzionale, un modello scelto dai Padri Costituenti come baluardo contro le ingerenze dell'esecutivo. I fautori della riforma, tuttavia, sostengono che questa commistione generi un potenziale conflitto di interessi o, perlomeno, una percezione di criticità, specie nei tribunali minori, dove magistrati che hanno collaborato si ritrovano in posizioni opposte.

 

La scissione rafforzerebbe, secondo questa prospettiva, la neutralità del giudice, allineando l'ordinamento a molti Paesi europei. Tuttavia, numerosi esperti, come la prima presidente della Corte di Cassazione, dott.ssa Margherita Cassano, ritengono la riforma di carattere meramente simbolico. A seguito delle riforme Castelli e Cartabia, infatti, sono stati imposti severi limiti al passaggio da un ruolo all'altro, stabilendo che un magistrato possa cambiare funzione una sola volta nella carriera, entro nove anni dalla prima assegnazione. I dati dimostrano che la percentuale di passaggi di ruolo è già minima (0,83% per i PM a funzioni giudicanti e 0,21% per i giudici a funzioni requirenti in un quinquennio). Si è anche sollevato il paradosso critico per il quale si dovrebbe separare anche la carriera tra giudici di primo grado e d'appello, o tra giudici di merito e di legittimità, trascurando il "legame inconfutabile" tra PM e giudice che deriva dalla comune missione di perseguire l’interesse pubblico all'applicazione della legge e alla ricerca della verità, a differenza del difensore che tutela un interesse privato.

 

L'Unione delle Camere Penali Italiane ritiene gli accessi con concorsi separati "assolutamente indispensabili" per distinguere le funzioni fin dall'inizio, mentre le critiche in questo ambito suggeriscono di mantenere un accesso unico e luoghi di formazione comuni, estesi anche agli avvocati, per evitare che i requirenti si concentrino solo sulla repressione, dimenticando le ragioni della garanzia dei diritti.

Palazzo dei Marescialli - Seduta del Consiglio Superiore della Magistratura per l'elezione del nuovo Primo Presidente della Corte Suprema. Quirinale.it, Attribution, via Wikimedia Commons
Palazzo dei Marescialli - Seduta del Consiglio Superiore della Magistratura per l'elezione del nuovo Primo Presidente della Corte Suprema. Quirinale.it, Attribution, via Wikimedia Commons

La riforma mira a stravolgere anche il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), creando due CSM distinti (uno per giudicanti e uno per requirenti) e introducendo il sorteggio per la nomina della maggioranza dei componenti (due terzi tra i magistrati e un terzo tra i membri laici selezionati da un elenco parlamentare) al posto delle attuali elezioni, per superare le "logiche legate alla competizione elettorale" e al clientelismo delle correnti (come nello scandalo Palamara), sebbene vi sia il rischio di una "riduzione dell’autorevolezza" del nuovo organo di autogoverno.

 

Un'altra novità fondamentale è l'istituzione dell’Alta Corte Disciplinare (composta da quindici giudici, di cui la maggioranza sorteggiata tra i magistrati), che sottrarrà ai due nuovi CSM la competenza sulle sanzioni disciplinari, configurandosi per l'Associazione Nazionale Magistrati (ANM) come un inaccettabile "tribunale speciale" per la sola magistratura ordinaria.

 

Infine, alcune proposte parlamentari mirano a modificare l'Articolo 112 della Costituzione, vincolando l'obbligatorietà dell'azione penale ai "casi e nei modi previsti dalla legge", una mossa sostenuta dalle Camere penali ma ferocemente criticata da esperti che temono si conferisca alle "fluttuanti maggioranze politiche il potere di modellare direttamente il contenuto e la direzione dell’azione penale", minando l'indipendenza del PM e l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Tuttavia il rischio maggiore, temuto da diversi giuristi, è che la separazione delle carriere, volta a garantire l'imparzialità del giudice, finisca per creare un PM come un "super-poliziotto" o un "avvocato della polizia", una figura di "funzionario pubblico altamente specializzato" che "risponde solo a se stesso", aumentando, paradossalmente, proprio quel corporativismo che la riforma si propone di combattere.

Palazzo di Giustizia - Roma - Tournasol7, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Palazzo di Giustizia - Roma - Tournasol7, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons


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