Texas sott’acqua, ma è l’Italia a dover aprire gli occhi
- Davide Inneguale
- 7 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Le alluvioni devastano il Texas, decine di morti. La crisi climatica non è un fenomeno futuro: è ora, e ci riguarda tutti.

L’acqua è salita di quasi nove metri in meno di un’ora. Case trascinate via, interi quartieri sommersi, almeno cinquanta morti e decine di dispersi. È questo il bilancio provvisorio della catastrofe che ha colpito il Texas centrale tra il 4 e 5 luglio. Le piogge torrenziali, alimentate dai resti dell’uragano Barry, hanno provocato un’improvvisa piena del fiume Guadalupe, travolgendo centri abitati e campi estivi.
Un evento “estremo”, dicono i meteorologi, ma sempre meno eccezionale. Perché è ormai chiaro che ciò che sta accadendo negli Stati Uniti è solo l’ultima prova tangibile della crisi climatica in atto. E soprattutto, che non si tratta più di salvare il pianeta in senso astratto: si tratta di salvarci, qui e ora.
Sotto accusa, ancora una volta, la gestione politica della crisi. Il National Weather Service, depotenziato da tagli e licenziamenti operati durante l’amministrazione Trump, aveva previsto solo 3-8 pollici di pioggia. Ne sono caduti oltre 10. I fondi per la prevenzione, la manutenzione delle infrastrutture e la gestione delle emergenze sono stati ridotti. Le normative ambientali smantellate. Gli scienziati, quelli che da anni avvertono del legame tra emissioni e inondazioni sempre più violente, sono stati messi a tacere o rimossi dagli incarichi federali.
Non si tratta solo di scelte sbagliate: si tratta di un disinteresse sistemico, che ha reso una tragedia annunciata ancora più devastante.
Guardare il Texas oggi significa guardare il nostro futuro se continuiamo a ignorare i segnali. Inondazioni, frane, ondate di calore, incendi: anche in Italia gli eventi climatici estremi sono in aumento. E se finora abbiamo pensato che certe immagini apocalittiche appartenessero solo ad altri continenti, dovremmo ricrederci. Abbiamo visto Venezia sott’acqua. Abbiamo visto Ischia sbriciolarsi. Abbiamo visto torrenti trasformarsi in fiumi impetuosi in poche ore. E continueremo a vivere queste catastrofi se non cambiamo radicalmente.
È vero: ognuno di noi può fare la propria parte. Ma sarebbe ipocrita fingere che basti spegnere le luci o usare meno plastica per fermare questo disastro. Servono scelte politiche coraggiose, investimenti veri, una visione strutturale.
Serve una leadership che metta la transizione ecologica in cima all’agenda, che investa in mobilità sostenibile, che blocchi il consumo di suolo, che rafforzi la protezione civile e renda le città più resilienti. Serve un’Europa, che sia più ambiziosa e un’Italia che non resti indietro, intrappolata in logiche elettorali miopi o negazionismi di comodo. In tre anni di Governo la destra italiana ha già rallentato il contrasto alla crisi climatica, ha ripreso le trivellazioni offshore gas-oil riducendo la distanza a 9 miglia dalle coste, rinnovato l’uso di glifosfato per 10 anni in agricoltura nonostante le problematiche che comporta per la biodiversità e vietato in altri paesi UE. Le scelte del governo come rilanciare gas e trivellazioni, bloccare incentivi green e agrivoltaico, rinnovare pesticidi, e rimodulare fondi lontano dal clima sono state percepite da associazioni come WWF, Legambiente, Greenpeace e Green Report come contrarie a una strategia efficace contro la crisi climatica. Tutto ciò ci dimostra come alcune tematiche, fondamentali per il nostro benessere, ma che ancora spostano pochi voti, vengono messe in secondo piano da chi detiene il potere e dovrebbe investire nel cambiamento.
Il disastro del Texas non è solo una tragedia americana. È un monito per tutti noi. E ogni ritardo, ogni compromesso, ogni parola non detta oggi, sarà una responsabilità che domani si misurerà in vite umane. Non possiamo più permettercelo.