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Da “difesa globale” ad attacco globale al pianeta Terra

Nei giorni in cui l’Europa brucia per una di quelle ondate di calore che stanno diventando il new normal delle estati del vecchio continente, diventa ancora più cogente interrogarsi sull’impatto che il riarmo globale ha sul clima. Ed a leggere i dati, molto poco noti, vengono i brividi.

 

Dalle basi petrolifere del Kuwait messe a fuoco da Saddam Hussein negli anni novanta, all’ecocidio causato da Israele nella martoriata Palestina, le armi hanno da sempre avuto un impatto catastrofico sull’ambiente.

/ IDF Spokesperson's Unit
/ IDF Spokesperson's Unit

Secondo il recente rapporto pubblicato dal Conflict and Environment Observatory (CEOBS) il mondo ha visto incrementare drasticamente la sua spesa militare arrivata ad un record di 2.7 trilioni di dollari annuali. Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina hanno portato l’UE ad incrementare di oltre il 30% le proprie spese militari dal 2021 al 2024. Il costo ambientale delle spese militari, seppure non sempre correttamente quantificato, si stima sia responsabile di oltre il 5.5% delle emissioni globali. Se la difesa mondiale fosse un paese, questo sarebbe il quarto paese più inquinante del mondo, e a peggiorare il quadro c’è l’impegno NATO a portare le spese militari dal 2 all’inaudito 5% del pil.

 

Se questo non fosse abbastanza scioccante bisogna citare il recente rapporto del PLOS climate foundation secondo cui l’esercito americano è l’istituzione maggiormente inquinante del mondo.

 

Secondo la letteratura scientifica non esiste qualcosa come la “difesa green” perché la maggior parte delle emissioni militari sono legate al trasporto di truppe e mezzi, oltre che alla loro produzione, infatti, l’inquinamento prodotto da attività militari è doppio rispetto alle attività civili.

 

Peggio, se davvero i programmi comunitari readinessEU così come quelli statunitensi, russi e cinesi, venissero confermati, il pianeta sarebbe incapace di raggiungere gli obiettivi climatici del millennio. Citando il Nature, la capacità del pianeta di contenere l’innalzamento delle temperature al di sotto della soglia dei 2°C è inversamente proporzionale all’aumento della spesa militare.

 

Sempre secondo CEOBS, inoltre, anche in mancanza di un aumento globale di spesa militare, con gli attuali trend di emissioni di gas serra ci sono il 67% di possibilità di non riuscire a contenere l’incremento delle temperature medie globali al di sotto di 1.5°C entro il 2027. Secondo gli scienziati al ritmo attuale di politiche di contenimento del clima saremo solo in grado di non eccedere un aumento medio di 3.1°C da qui al 2100, questo senza tenere in considerazione la corsa al riarmo globale.

 

Non solo si spende troppo per gli armamenti e si celebra come un successo l’incrementare ancor di più questa spesa, a peggiorare il quadro c’è il fatto che i paesi più ricchi hanno fallito negli accordi sul clima di Parigi che avrebbero dovuto fornire 100miliardi di dollari annui per supportare i paesi più vulnerabili climaticamente. Cosicché mentre la spesa militare esplode, il pianeta implode, con l’Australia che si prepara ad accogliere i primi profughi climatici causati dall’innalzamento delle acque che stanno sommergendo le isole Tuvalu.

 

I primi 10 paesi per spesa militare finanziano in un solo anno l’equivalente di 15 anni di spesa per finanziare i programmi di mitigazione climatica promessi. 70 miliardi annui di investimenti per il clima potrebbero essere investiti se si riducesse di solo il 3% la spesa militare annuale mondiale.

 

Così mentre il capo della protezione civile italiana Fabio Ciciliano dichiara di aver visto nei 49°C di Riyad la nostra futura normalità climatica, mentre 8 persone sono morte in Europa alla sua prima ondata di calore, ha senso domandarsi se gli investimenti militari per la “difesa” stiano contribuendo alla distruzione del pianeta molto di più di quanto promettano di salvarlo.

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