Overtourism: quando l’assalto ai luoghi turistici non porta nulla di buono
- Rita Salomone
- 30 apr
- Tempo di lettura: 4 min
Durante questo mese di aprile caratterizzato da feste e ponti, a chi non è capitato di andare a cercare su qualche sito delle offerte per un viaggio last minute? Magari un pacchetto tutto incluso in una capitale europea o in una città d’arte italiana. E quanti di noi, scrollando su Instagram, si sono imbattuti nelle stories degli amici scattate da luoghi panoramici, in una piazza famosa o vicino ad un monumento?
Al giorno d’oggi l’esigenza di viaggiare è diventata essenziale e si cerca di sfruttare ogni occasione per un fine settimana fuori, una scampagnata, un giro di shopping, una gita anche solo di un giorno. Da qui, da una necessità legittima della popolazione, nasce però un problema serio: il sovraffollamento delle mete turistiche, problema che era stato già affrontato nel lontano 1980, anno in cui si iniziava a parlare di “capacità portante dell’ambiente” per esprimere in maniera scientifica il quantitativo massimo di persone che possono essere fisicamente contenute in uno spazio.

La saturazione delle località turistiche è cresciuta negli ultimi anni in maniera esponenziale, complici da un lato la maggiore disponibilità economica di una fetta sempre più ampia della popolazione e dall’altro i prezzi vantaggiosi di compagnie low cost e di siti di prenotazioni fai-da-te che di fatto hanno aperto un nuovo segmento di mercato anche per chi in precedenza non poteva permettersi un viaggio. Questo ha fatto sì che in alcuni momenti dell’anno e per determinate località sia impossibile avere un’esperienza godibile a causa del sovraffollamento. La problematica dell’overtourism ha varie connotazioni negative: è evidente il cortocircuito del troppo turismo che fagocita sé stesso riducendo gli spazi vitali e la possibilità pratica di godere di bellezze paesaggistiche o artistiche poiché spesso da condividere insieme ad altre migliaia di turisti. Ricordiamo che la pubblicità che ne scaturisce sulle località è molto spesso negativa: nessuno è felice di scegliere una meta “troppo turistica” e quindi poco esclusiva, poco originale e godibile, troppo sovraesposta sui social.

Esiste poi un problema profondo che invece riguarda il valore e la qualità della vita dei residenti nelle località turistiche. Ad esempio, la trasformazione dei centri storici, privati della loro reale tipicità, fatta per far posto a strutture turistiche (spesso anche non perfettamente fuse nel contesto) può essere giustificata soltanto da motivazioni economiche? Pensiamo ad esempio agli affitti brevi che per esigenze economiche vengono preferiti a quelli medio-lunghi e prezzi che salgono alle stelle, costringendo i residenti, famiglie e studenti, a spostarsi in luoghi più periferici per far posto alla marea di turisti in arrivo e per poter soprattutto arrivare a fine mese senza svenarsi per pagare un affitto. Pare che le istituzioni si stiano accorgendo del problema, riconoscendo la necessità di preservare degli spazi anche alle persone residenti. Inoltre, l’enorme afflusso di turisti ha creato l’esigenza del dover mangiare e bere sempre e comunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte, dando vita al sorgere di ristoranti e bar, street food, in ogni angolo delle città, molte volte con proposte di scarsa qualità. Con buona pace di chi vive in quei luoghi, costretto a sentire il vociare e gli schiamazzi anche in piena notte.
Si potrebbe obiettare che in questo modo le località sono sempre vive, l’economia gira, si creano posti di lavoro. Sì, ma a che prezzo? Se consideriamo il solo aspetto ambientale non si può certo negare che alcune realtà sono costantemente colme di rifiuti, ovunque si vedono buste e cestini pieni all’inverosimile di posate, piatti e bicchieri usa e getta (se vogliamo restare nell’ambito della ristorazione).
È innegabile che comunque alcuni di questi processi siano stati accelerati da cambiamenti economici strettamente collegati al mondo del lavoro, ed è ancora più evidente se guardiamo la situazione italiana. La rapida deindustrializzazione di molti contesti ha visto nella riconversione turistica una normale e spesso anche più sensata prosecuzione. La qualità dell’offerta lavorativa turistica è tuttavia spesso estremamente scadente perché legata alla notevole frammentarietà delle proposte contrattuali che tendono comunque allo sfruttamento del personale. I posti di lavoro creati sono quindi spesso mal pagati, gli orari di lavoro sono insostenibili e siamo poi costretti a sentire le lamentele degli imprenditori turistici sui giovani d’oggi che non vogliono lavorare.
Guardando il problema dall’altro lato invece, quello del turista, un aspetto su cui non si ragiona mai è quello culturale, cioè, per migliorare il turismo la prima soluzione sarebbe quella di educare correttamente le persone che vanno ad affrontare un'esperienza che sia una visita ad una città d’arte o una giornata in una località di mare o montagna. Non tutte le persone si approcciano al turismo con consapevolezza, anche se è pur vero che c’è bisogno di evasione, e così spesso ci si reca nelle varie località con la brama di sfruttare ogni momento, ogni angolo, senza attenzione per il luogo o l’ambiente, solo per la voglia di esserci e di farlo sapere tramite social.
Quali potrebbero essere le soluzioni? Sicuramente diversificare le proposte, decentralizzare i flussi rispetto alle aree di maggior interesse, cercare di spalmare l’arrivo dei turisti durante tutto l'anno favorendo anche periodi di bassa stagione. E inoltre educare le persone al rispetto dei luoghi, aspetto sempre troppo sottovalutato.