Meloni attacca la magistratura… ancora
- Davide Inneguale

- 2 ore fa
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Mohamed Shahin, imam destinatario di un decreto di espulsione firmato dal Ministro dell’Interno, è stato trattenuto in un centro per il rimpatrio su disposizione dell’autorità amministrativa come misura di prevenzione per motivi di sicurezza nazionale. Il trattenimento non aveva natura penale, non seguiva una condanna, ma rispondeva alla logica del controllo amministrativo in vista dell’espulsione. Su questo punto la Corte d’Appello di Torino è stata chiamata a pronunciarsi, verificando la legittimità.
La Corte ha disposto la cessazione del trattenimento. Subito dopo, Giorgia Meloni ha pubblicato sui social un commento durissimo, accusando “alcuni giudici” di impedire al governo di difendere la sicurezza degli italiani. È qui che la vicenda smette di essere un fatto giuridico e diventa un’operazione politica consapevole.
Il post non entra nel merito della decisione, non discute le ragioni tecniche del rilascio, non si confronta con i limiti del provvedimento adottato dal Viminale. Costruisce invece un racconto fallace e pericoloso: da una parte lo Stato che vuole proteggere i cittadini, dall’altra una magistratura che lo ostacola. È una narrazione studiata, che arriva a ridosso della riforma della giustizia e che punta a delegittimare il controllo giudiziario presentandolo come un sabotaggio politico. L’imam è un bersaglio perfetto. È musulmano, ha espresso posizioni sul 7 ottobre, non gode di alcuna simpatia nell’opinione pubblica. Attraverso di lui Meloni colpisce tre obiettivi in un solo colpo: l’Islam come minaccia culturale, la magistratura come potere nemico, la paura per la sicurezza come leva emotiva. Non è un caso, bensì la linea politica del Governo Meloni.
La Presidente del Consiglio afferma che non si può garantire la sicurezza se i giudici lo impediscono. Questo è particolarmente grave, non siamo più nel terreno dell’opinione, ma in quello della deresponsabilizzazione sistematica. Meloni governa. Ha il controllo dell’esecutivo, delle forze di polizia, degli strumenti normativi. Eppure continua a presentarsi come se fosse all’opposizione di qualcosa: dei giudici, dell’Europa, delle élite, di nemici interni sempre diversi.
È una strategia ridondante la sua. Quando una misura non regge, la colpa non è mai di chi l’ha scritta o applicata male. È sempre di qualcun altro che “impedisce”. Ma in uno Stato di diritto il controllo di legalità non è un ostacolo alla sicurezza, ma la sua condizione e garanzia per il popolo. Se un provvedimento viene annullato, il problema non è chi lo annulla, ma chi lo firma senza renderlo giuridicamente solido.
Questo è il punto che il post di Meloni cerca di oscurare. Trasformare una verifica giudiziaria in uno scontro politico serve a spostare l’attenzione dalle responsabilità del governo. A far passare un messaggio pericoloso: che la legge valga solo quando non intralcia il potere. È così che si logorano le democrazie. Non con una sentenza. Ma con il racconto distorto e propagandistico. Ancora una volta Meloni attacca un cittadino, la magistratura, dopo tre anni di Governo ancora non ha il coraggio di metterci la faccia, ancora fugge dal confronto e si espone solo dove la sua narrazione fallace non viene messa in discussione.






