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La stupidità non è un’eccezione: è una costante. Ed è ora di prenderla sul serio

“Lascia perdere, è solo uno stupido.”


Quante volte abbiamo interrotto un confronto più profondo, convinti che il nostro interlocutore non fosse in grado di coglierne la complessità? Quante volte abbiamo sminuito frasi fatte, slogan ripetuti a memoria, post condivisi sui social – magari scritti male, fuori contesto – con un’alzata di spalle e un giudizio sommario: “che stupidi”. E quante volte, con un certo senso di superiorità, abbiamo liquidato l’ascesa di un politico “alla buona” con la frase: “ma figurati se le persone sono così stupide da votarlo”.

Nel 1976 lo storico ed economista italiano Carlo M. Cipolla pubblicò un saggio dal titolo apparentemente leggero, ma dal contenuto sorprendentemente profondo: Le leggi fondamentali della stupidità umana. Cinque punti, destinati a restare attuali, che ci mettono davanti a un’amara verità. Eccoli:

  1. Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

  2. La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.

  3. Una persona stupida è una persona che causa un danno a un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

  4. Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

  5. La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.


Probabilmente Cipolla si è divertito a scriverlo. Il tono del saggio lascia trasparire un’ironia tagliente, quasi amara. Eppure, chissà se oggi – da qualche ipotetico aldilà – osserva il mondo con sconcerto pensando: “ci risiamo”.


Ma cosa intendiamo esattamente con “stupido”? Secondo la Treccani, il termine deriva dal latino stupidus, da stupere, ovvero “restare colpito, stordito”. La radice ci riporta a uno stato di torpore, di ottundimento fisico o morale, all’incapacità di percepire o reagire. Sinonimi? Cretino, idiota, imbecille, interdetto. Tutti usati in tono dispregiativo. E forse è proprio qui che nasce l’equivoco: la stupidità non va solo derisa o disprezzata. Va riconosciuta, affrontata e – dove possibile – contenuta.


Per curiosità (e forse per disperazione), ho digitato su Google: “come si diventa intelligenti”. Il risultato? Un articolo di Focus elenca ben 30 modi per diventare più intelligenti. Attività basilari, alla portata di tutti, ma troppo spesso trascurate: idratarsi, leggere, ascoltare, fare sport, dormire il giusto, prendersi delle pause. Forse è proprio il fatto di dare per scontato che tutti sappiano queste cose – e che tutti le applichino – a generare quella disconnessione profonda che poi porta al dilagare della stupidità.


Forse, ammettere che la stupidità esiste – e che può essere pericolosa – ci farebbe un gran bene. Perché non pensare a un’ora settimanale obbligatoria a scuola che insegni come stare al mondo, prima ancora che a interpretare la Divina Commedia?


E perché è un problema avere troppi stupidi? Perché, semplicemente, si spegne la capacità critica. E il potere decisionale si riduce a seguire chi ha la voce più alta, o chi offre soluzioni semplicistiche a problemi complessi. Non serve andare a cercare esempi in politica. Basta leggere le parole, strazianti nella loro dignità, dei genitori del 14enne morto di tumore dopo essere stato “curato” con il metodo Hamer. O la storia – altrettanto tragica – della giovane inglese che ha rifiutato la chemioterapia, influenzata dalle teorie complottiste della madre no-vax. Storie vere. Storie di danni irreparabili.


Nel suo saggio, Cipolla aveva analizzato il fenomeno anche dentro le università. Il dato forse più spiazzante? La distribuzione degli “stupidi” non variava in base al ruolo o al livello culturale: ce n’erano tra i bidelli, ma anche tra docenti, studenti e impiegati. A dimostrazione del fatto che la stupidità non è figlia dell’ignoranza, e non dipende né dal ceto né dal titolo di studio.


Esiste persino un grafico, proposto da Cipolla, che suddivide la popolazione in quattro categorie: sprovveduti, intelligenti, stupidi e banditi. Questi ultimi agiscono per il proprio interesse, anche a scapito degli altri; i primi subiscono. Gli stupidi, però, sono i più pericolosi: danneggiano gli altri e se stessi.


In definitiva, dovremmo smettere di dare per scontato che la stupidità sia un’eccezione isolata. Dovremmo smettere di pensare che riguardi solo i meno istruiti o i “sempliciotti”. Gli stupidi sono ovunque. E sottovalutarli è, come ci ricorda Cipolla, un errore sempre troppo costoso.

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