La libertà di espressione è ancora un valore in Italia e in Occidente?
- Massimo Battiato

- 11 ore fa
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A forza di evocare i metodi antidemocratici delle autocrazie, a ergersi a essere gli unici rappresentanti della libertà politica, economica e d’opinione, autoattribuendosi una presunta superiorità morale sul resto del mondo, stiamo finendo per assomigliare sempre più ai regimi autocratici che tanto esecriamo.

È vero che nel nostro mondo cosiddetto liberal-democratico ancora non si impongono dall’alto le opinioni che si ritengono giuste, ma ci sono molti tentativi, anche per vie legislative o legali, di emarginare chi esprime un pensiero non allineato. Mi sto riferendo, solo per fare alcuni esempi, alla nuova proposta di legge avanzata nel parlamento italiano sull’antisemitismo che si ispira alla definizione controversa (anche tra gli ebrei) di antisemitismo dell’IHRA, o al progetto, da parte degli organi direttivi della UE, di stabilire un filtro per distinguere una fake news da una notizia vera. Oppure alla decisione dell’amministrazione Trump di concedere ai visitatori degli USA il visto turistico (l’ESTA) solo dopo una verifica approfondita della loro attività degli ultimi anni sul web. Non male per il paese che si autodefinisce il faro della libertà e della democrazia nel mondo.
Non basta, anche la libera attività degli intellettuali non allineati al verbo atlantista è sotto attacco in Italia da parte di politici, soprattutto di area centrista come Calenda e la Picierno (solo per citare quelli più visibili mediaticamente). La scusa o la giustificazione per limitare la loro libertà di opinione sarebbe che questi intellettuali farebbero da megafono (o addirittura sarebbero prezzolati) alla propaganda filorussa putiniana. È successo, per esempio, con alcune conferenze a Torino dello storico Angelo d’Orsi. L’ultima era prevista al Teatro Grande Valdocco dei Salesiani e prevedeva tra i partecipanti pericolosi putiniani, oltre al professor D’Orsi, come Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Carlo Rovelli, Donatella di Cesare e altri intellettuali e giornalisti famosi. Finora il risultato è stato che questi eventi sono stati riprogrammati in altre sedi con un maggior afflusso di persone. Stessa sorte anche per quest’ultimo evento saltato perché i gestori del teatro hanno ritirato la loro disponibilità all’ultimo momento nonostante l’evento fosse programmato da tempo. Vista l’autorevolezza e il seguito che hanno questi intellettuali, ben superiore a quella dei politici che li criticano, l’effetto ottenuto dal tentativo di censura è stato un boomerang. Segno che viviamo ancora in una società libera. Ma per quanto ancora? I recenti casi, ben più gravi, di Francesca Albanese, oggetto di sanzioni USA con l’infamante accusa di antisemitismo e di Jacques Baud, sottoposto allo stesso trattamento da parte della UE con accuse abbastanza fumose di propaganda filorussa, ci dicono che non tira una buona aria dalle nostre parti nelle democrazie cosiddette liberali.
Riguardo a quanto sta succedendo, ci sono molte domande la cui risposta apre scenari inquietanti. Chi dovrebbe filtrare i contenuti veri da quelli fake? Come ci difendiamo dalle fake news spacciate per vere dai canali ufficiali? E i criteri per filtrare le informazioni cambieranno con l’alternarsi di maggioranze politiche? I filtri potranno essere usati per marginalizzare chi non è allineato al pensiero dominante o gli oppositori? Chi e con quale criterio decide se una critica allo stato di Israele e a chi lo sostiene sia una forma di antisemitismo? Qual è la soglia da non superare? Quando una critica alla NATO o alla UE si può considerare propaganda russa? Quando si può accusare senza prove chi fa queste critiche come un infiltrato prezzolato dalla Russia? Ma poi i nostri rappresentanti nelle istituzioni italiane e europee sono così immuni alla propaganda da poter puntare il dito contro qualcuno?
Coloro i quali sostengono che le nostre democrazie liberali occidentali siano il migliore dei mondi possibili provano a vincere facile affermando che nei nostri paesi non si incarcerano o si assassinano i giornalisti (che poi non è così vero, vedi il caso di Julian Assange), gli oppositori e i dissidenti. Ciò è indubbiamente vero, ma è un’argomentazione abbastanza debole per affermare la nostra superiorità morale e limitare la libera espressione di chi non è allineato al pensiero unico atlantista/europeista. La differenza fra un regime autocratico e uno democratico dovrebbe consistere proprio nel permettere il dissenso non nel limitarlo perché lo si considera pericoloso e per di più con criteri arbitrari. Certo, ciò comporta maggiori rischi, anche di dover tollerare idee che possono sembrarci aberranti o di essere più permeabili agli attacchi da parte di chi, dall’interno o dall’esterno, non si riconosce nella democrazia. Ma la censura non è mai la soluzione.





