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L’arte e il suo rapporto con l’epoca presente

Sembra quasi concretizzarsi il giudizio di Marx apposto nella sua Miseria della filosofia, in cui ammoniva quel tempo distopico dove tutto ciò diviene commercio. Il tempo della «venalità e della corruzione generale» sembra imperare nell’epoca del nichilismo capitalistico occidentale, compiendo un’ulteriore vittima: l’arte. Non è più recente, ma purtroppo non è nemmeno così lontana, la notizia della vendita della “banana” di Cattelan alla modica cifra di sei milioni e due, a cui si aggiunge il “culto” e la rincorsa allo scatto perfetto, quella spasmodica volontà di catturare il momento superfluo senza viverlo, tramite una foto. Quella che è da molti considerata arte post-moderna, rinfrancata, da ultimo, dalla sopraggiunta perdita di Oliviero Toscani.

David Datuna , CC0, via Wikimedia Common
David Datuna , CC0, via Wikimedia Common

Da sempre, l’arte è un tentativo di cogliere il vero nell’elemento materiale o, utilizzando la grammatica di Hegel, di cogliere l’Assoluto nella forma «immediato-intuitiva» dell’opera, secondo forme sempre più spirituali e svincolate dall’elemento sensibile, le quali variano dal totemico simbolismo alla poesia. Nella sua trattazione sistematica e nelle lezioni di estetica, Hegel ritiene l’arte il primo grado del percorso che lo spirito assoluto compie verso la conoscenza di sé. Poiché unico è il suo contenuto, l’arte rappresenta, insieme alla religione e alla filosofia, uno dei modi in cui questo si esprime. Ma con le dovute differenze, dacché, come detto, l’arte è un sapere immediato e proprio perciò sensibile, la quale esplica il proprio contenuto spirituale in un dato oggettivo. La seconda forma, quella religiosa, rappresenta la realizzazione della prima, giacché quel “mezzo sensibile” è ora interiorizzato e offerto alla rappresentazione. La filosofia, come culmine del processo autocoscienziale, è comprensione concettuale dell’oggettività dell’arte, di cui viene soppressa la dimensione sensibile, e la soggettività della religione.

 

La banana appesa al muro di Cattelan prima e la “foto” poi, sembrano, rispetto ciò che abbiamo detto, la negazione dell’arte così intesa, dacché la banana e la foto rappresentano la materialità concreta, si muovono nel sensibile senza lasciarlo mai. Per dirla nuovamente con la grammatica dello Hegel dei Lineamenti, si pensa «il Male per il Male». Non si prova così a cogliere l’assoluto, ma si rinuncia programmaticamente a ogni assoluto. Il fatto poi che l’acquirente voglia fagocitare letteralmente la banana è esso stesso significativo. Nel Mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer suggerisce che l’arte è un «quietivo», ossia una forza in grado di acquietare, sia pure temporaneamente, la Volontà nel suo illimitato volere. Schopenhauer suggerisce che prima ancora di conoscersi come soggetti dotati di corpo e raziocino, come suggeriva Kant, l’uomo si conosce come volontà, ma non come qualcosa che si appaga, come in Hegel, ma qualcosa che continua a sussistere, disiderando continuamente sé stessa come volere. Ma anche in questo caso di Arte non c’è nulla, dacché l’atto del cibarsi dell’opera non porta il soggetto ad annullare la volontà che comunque continua a trascenderci, ma anzi l’alimenta, potenziandola e portandola ad evidente manifestazione.

 

La stessa foto fallisce nella sua propria funzione. Come suggerisce il nostro Severino, il reale non ha alcun bisogno di essere fissato, questo rientra in quello che lui chiamava la «follia dell’occidente», giacché esso ha la manìa, come accade per la televisione, di fissare il divenire. Laddove non c’è alcun bisogno, continua Severino, di fissare le cose, dacché il divenire non è così realmente transeunte. Anche per Severino l’eterno esiste. Le cose non escono dal nulla per poi ritornavi, altrimenti, seguendo la logica, dovremmo affermare lo stesso nulla come un qualcosa, dovremmo con ciò affermare la sua contraddizione. Le cose che continuamente accadono sono l’apparire di ciò che è eterno, sono la manifestazione di questo stesso Assoluto. Le cose sono già stabili e ferme, senza il bisogno di fermarle con delle macchine.

 

Possiamo ben dire, dunque, che nell’epoca del nichilismo contemporaneo, il quale ha smarrito ogni rapporto col sublime, le cose, sia morali che fisiche, assumono importanza solo se consacrate al mercato e, concludendo nuovamente col Marx, solo e solo se «assumono un giusto valore».

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