Nel nostro lento passaggio in questa vita, abbiamo la fortuna di godere di paesaggi mozzafiato; di condividere la vita e i traguardi con chi amiamo che, spesso poi, vediamo andar via; di esistere cercando di fornire risposte alle grandi domande, per lo più invano. Ognuno vive a suo modo, a tempo determinato. Ma una caratteristica che accomuna tutti gli esseri umani è la solitudine.
Ne L’arte di insultare Arthur Schopenhauer afferma che «alla fine, tutti quanti siamo e rimaniamo soli». La solitudine è il minimo comune denominatore delle esistenze totali, tra chi è già passato, chi esiste oggi e chi esisterà un domani. È la componente universale a cui dobbiamo rendere, prima o poi, i nostri personali conti.
Siamo soliti demonizzarla, nella società di oggi in cui, per essere conforme, devi per forza uscire il sabato sera, in cui riempiamo l’agenda di impegni per evitare di avere momenti vuoti, rischiando di rimanere, inevitabilmente, soli con se stessi.
Schopenhauer coglie una distinzione netta tra i tipi di solitudine in Parerga e paralipomena, i quali dipendono dalla persona che li affronta: «Nella solitudine infatti il miserabile sente tutta quanta la sua miseria e il grande spirito tutta la sua grandezza, ciascuno in breve sente di essere ciò che è». È per questo che abbiamo un implicito timore di rimanere soli, perché nella solitudine si fanno i conti con la propria essenza e la qualità del tempo è direttamente proporzionale alla qualità d’animo di chi la affronta.
Il grande spirito, per Schopenhauer, alla fine abbraccerà la solitudine per vivere una vita calma e tranquilla, perché è la solitudine il luogo dove riposa la tranquillità d’animo. Perché il grande spirito è conscio di passare un’esistenza in cui si nasce e si muore soli. E la solitudine comporta molti fattori, tra cui l’indipendenza, perla rara della società di oggi, schiava del proprio relazionarsi dietro un display.
Io credo, però, che anche un grande spirito nutra l’implicito bisogno di avere l’altro da sé al proprio fianco, pur sopportando la solitudine. Perché, come diceva Pier Paolo Pasolini, «la mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza».
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