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Il Pd contro Schlein, contro se stesso e l’Europa che volevano

Non sono sorpreso, seppure come elettore molto deluso, dal fatto che la delegazione Pd in aula a Strasburgo si sia spaccata e non abbia votato no unanimemente al Rearm Europe. E nonostante la segretaria, contraria sin dall’inizio alla soluzione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, abbia cercato fino all’ultimo di salvare capre e cavoli, suggerendo almeno l’astensionismo. La partite si è chiusa con 11 astenuti e 10 a favore.

 

Mi sorprende invece che in questi giorni siano state fatte dichiarazioni sulla posizione di Elly Schlein definendola ingenua e persino in dissonanza con la linea ufficiale del partito. Non solo politici, giornalisti e analisti favorevoli al riarmo europeo, ma anche molti che ne sono contrari e che hanno apprezzato la decisione della segretaria dem, “l’eretica”. Mi sorprende perché il rifiuto di sostenere un riarmo a livello nazionale ben diverso da una difesa comune e coordinata a livello europeo è proprio la linea che il Pd si era data in occasione delle elezioni europee 2024. Infatti, L’Europa che vogliamo, quel programma che è stato votato (dal sottoscritto compreso), al capitolo Il progetto di pace, nel paragrafo Per la difesa comune si esprime in modo diametralmente opposto all’attuale proposta avanzata da von del Leyen.

 

«Vogliamo costruire una difesa comune integrata per l’Europa… fondata su un coordinamento strutturale delle politiche nazionali di difesa, atta a rispondere alle crisi presenti e future, nella cornice di una vera e propria politica estera e di sicurezza comune, in stretta cooperazione con alleati e partner.» E aggiunge: «Non crediamo che l’Europa debba costruire un’economia di guerra, ma piuttosto che sia necessario e urgente un coordinamento più stretto degli investimenti e della produzione per la difesa a livello europeo, per spendere insieme e in modo più integrato, efficace ed efficiente, evitando concorrenza e sovrapposizioni costose e dannose e liberando quindi risorse per costruire un’Europa sociale e sostenibile.» Per questo «vogliamo una politica industriale comune per la difesa che eviti una escalation incontrollata delle spese militari nazionali, per superare la frammentazione, per ottimizzare le spese in modo coordinato e più efficace.»

 

È lecito chiedersi quindi: chi è stato l’“eretico” in sede parlamentare Eu, perché dieci delegati hanno votato sì a un piano che si scosta così palesemente dalla linea ufficiale del partito? Non era forse questa l’Europa che volevano e per cui sono stati votati? Sul serio, ci si può giustificare dicendo che i tempi sono cambiati rispetto allo scorso giugno 2024, che quella linea non è più corrispondente ai fatti internazionali convulsi? Sul serio si può sostenere, com’è stato fatto, che un riamo di questo tipo può considerarsi un primo passo verso l’auspicata difesa comune?

© European Union, 2025, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
© European Union, 2025, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

A tal proposito, un’altra cosa che mi ha sorpreso, ma questa volta non più di tanto, sono state le dichiarazioni dei cosiddetti “padri nobili” del partito, che, se da un lato, pare confondano la fedeltà all’europeismo con l’assoluta obbedienza acritica a tutto ciò che la Commissione Eu propone e dispone, dimenticandosi sia i valori originali dell’europeismo stesso, nato per garantire la pace, ma anche appunto quelli del partito democratico; dall’altro, mi danno l’impressione di non riuscire ad accettare e a rassegnarsi ai fatti, i quali dimostrano che oramai la loro storia politica è archiviata, che le primarie, il voto europeo e i sondaggi si sono espressi a favore di una nuova linea e di un’opera di rinnovamento del partito. Per cui bisognerebbe dare spazio a queste istanze e smetterla di continuare a fare deleteri mansplaining.

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