Sicuramente ci sono numerosi episodi nella Bibbia in cui si descrivono battaglie condotte dagli israeliti per conquistare la terra promessa[1]. Tuttavia, una teoria completa della guerra, ossia quando combattere e come, non è stata elaborata per lungo tempo. Nel periodo medievale, a parte Maimonide[2] (1138-1204), nessuno si occupò di questo argomento. Sembra infatti che per i rabbini non fosse un problema rilevante, anche perché per molto tempo la questione della guerra non si pose.
Dopo il 1948, con la creazione dello Stato di Israele, i rabbini si resero conto che non erano solo chiamati a dare consigli pratici su questioni rituali, ma anche a utilizzare la loro conoscenza dei testi sacri per rafforzare la fede dei soldati e delle loro famiglie nella provvidenza divina, contribuendo così a mantenere alto il morale delle truppe. In questo modo, trasformarono le questioni militari da argomenti di interesse periferico a temi centrali del discorso teologico. In ebraico, tuttavia, non troviamo l’idea di una “guerra santa”; Maimonide stesso non affronta questo tema quando parla di purezza, santità e ritualità. Il filosofo aveva identificato due categorie di conflitti armati: una classificata come guerra obbligatoria (milkhemet mitzvah) e l’altra come guerra discrezionale (milkhemet reshut).
Secondo la definizione di Maimonide, le guerre discrezionali rispondono a impulsi umani, il più generico dei quali è il desiderio di un monarca di “estendere i confini di Israele e aumentare la propria grandezza e prestigio”.
Poiché queste sono giustificazioni moralmente discutibili per lo spargimento di sangue, guerre di questo tipo possono avvenire solo se autorizzate dalla leadership spirituale della nazione (che Maimonide chiama “la corte dei 71 [saggi]”). Al contrario, le guerre obbligatorie traggono la loro autorizzazione da una fonte trascendentale, nel senso che possono essere ricondotte a un esplicito comando divino e sono essenzialmente quelle che vengono sostenute dai partiti religiosi di estrema destra, che applicano alla popolazione palestinese la categoria di rodef, il termine rabbinico che definisce lo status di una persona che mette in pericolo la vita di un’altra e che, quindi, costituisce un obiettivo legittimo di attacco preventivo.
Un aspetto interessante, nonostante l’ottica della guerra e l’impulso alla distruzione dei nemici, è che uno dei concetti più importanti nel giudaismo è il “Pikuach Nefesh”, letteralmente “salvare una vita”. Questo principio della Halakhah (legge ebraica) stabilisce che la preservazione della vita umana è superiore a quasi tutte le altre obbligazioni o leggi religiose. Pertanto, in caso di conflitto tra preservare la vita e osservare le leggi religiose, il dovere di salvare vite umane prevale su ogni altra considerazione.
Inoltre, l’Halakhah impone il comandamento di non uccidere, e ci sono passaggi nella Bibbia in cui si offre al nemico la possibilità di fuggire o di accettare la pace. I politici della destra sionista, tuttavia, utilizzano selettivamente solo alcuni passaggi biblici senza considerare i numerosi altri, che hanno un valore più normativo e non sono semplici racconti storici.
Se davvero volessimo mettere in parallelo passato e presente, considerando gli scontri odierni come guerre obbligatorie, come quelle contro Canaan o Amalek, alcune precisazioni esegetiche sono necessarie. In primo luogo, le guerre obbligatorie erano un’iniziativa di Dio, quindi ironicamente, gli esseri umani non dovrebbero impegnarsi in tali attività di propria volontà (ad esempio, Esodo 17 parla dell’annientamento di Amalek come un atto di Dio; solo in Deuteronomio 25:18-19 è dato il comandamento a Israele di cancellare la memoria di Amalek). In secondo luogo, questi testi devono essere visti nel loro contesto storico per capire che non sono espressioni di un’aggressione voluta da Dio, quanto piuttosto scontri tribali per il possesso di terre. I palestinesi non sono né una delle “sette nazioni”, né Amalek. Pertanto, le attività militari contemporanee di Israele contro di loro non possono essere legittimate in termini di guide bibliche, perché svilirebbero il fulcro stesso della religione.
Infine, non si possono ignorare altri messaggi presenti nella Bibbia che controbilanciano la violenza della conquista cananea, sia dipingendo i Cananei in modo positivo sia mettendo in dubbio il valore della guerra in generale. Dio non permise al grande Davide di costruire il Tempio perché era “un uomo di guerra” che “aveva versato sangue”; questo compito fu devoluto a Salomone, il cui nome deriva dalla radice shalom (I Cronache 28:3). Il periodo messianico è segnato dall’abolizione della guerra: “una nazione non alzerà la spada contro un’altra e non si eserciteranno più nell'arte della guerra” (Isaia 2:4; Michea 4:3). Senza contare il comandamento di non uccidere, ripetuto sia in Esodo che in Deuteronomio, e in Geremia 7:6-7, dove viene associato alla protezione dello straniero:
“Se cambierete davvero le vostre vie e le vostre azioni; se eserciterete veramente la giustizia tra un uomo e il suo prossimo; se non opprimerete il forestiero, l’orfano e la vedova, e non spargerete sangue innocente in questo luogo, né seguirete altri dei a vostro danno; allora vi farò abitare in questo luogo, nel paese che ho dato ai vostri padri, da sempre e per sempre.”
[1] Cfr Deuteronomio 20.
[2] Cfr D. Banon, « Guerre imposée et guerre autorisée selon Maïmonide » Pardès 2004/1 (N° 36), 133 – 149.