Fragorosamente sta esplodendo, in questi giorni, il fenomeno del “dossieraggio” verso le alte cariche dello Stato con i chiari “strascichi” e conseguenze su tutto il sistema di informazione pubblica (e non), salotti televisivi, “ultime ore” ed “incredibili rivelazioni” che tanto ricordano quei “pomeriggi che sanno di Barbara” (cit. Enzo Savastano).
Tra passatA e futuro
La consuetudine di raccogliere le informazioni di dettaglio sulle persone risale dalla notte dei tempi. Potremmo dire che è un atavico istinto umano. Si generava “chiacchiericcio” tra le massaie quando si preparavano le famose “bottiglie” di pomodoro, lo si fa ogni giorno tra “un caffè e un altro” e, probabilmente, sempre si nutrirà questa “pratica”.
Certamente ciò che è cambiato, inevitabilmente, sono le “modalità” di raccolta e diffusione delle informazioni. La rete internet, i social, i blog, i sistemi di e-commerce, i “cookies”… siamo ogni giorno inondati da una moltitudine di elementi e strumenti che ci fanno porgere il fianco alla cessione, talvolta involontaria, delle nostre informazioni.
Molte volte tali informazioni vengono cedute per “ingenuità” (basta banalmente accettare banner di gestione privacy che, di fatto, rappresenta quasi un contratto) e, altre volte, si è soggetti a delle vere e proprie frodi che possono sfociare nel furto di identità.
“Cari cittadini, annuncio la mia candidatura”
“Nell'antica Roma, chi si presentava come candidato per una carica pubblica indossava una toga bianca, chiamata appunto toga candida, simbolo di purezza e trasparenza morale. Questa usanza era un segno di rispetto verso i cittadini e rappresentava la disponibilità del candidato a essere scrutinato pubblicamente…” (non lo dico io, ma Chat GPT)
Proprio dalla definizione di “candidatura” allora, pare lecito chiedersi se sia giusto “spiare” e raccogliere dati su una persona che, già per definizione, dovrebbe mettere a disposizione della comunità, tutti i propri dati (e, attenzione, non solo quelli meramente “tecnici” ma anche quelli di natura più personale – sempre nel rispetto dei dovuti perimetri della privacy- proprio nella definizione di “candidatura” e, quindi, la sopra citata disponibilità ad essere scrutinato anche nella propria moralità).
E se, tra una bottiglia di pomodoro e un’altra, zia Titina dovesse scoprire, grazie al sapiente uso del deep web in pieno stile Mr. Robot, che quella persona ha de facto nascosto qualcosa? Se si venisse a sapere che quanto nascosto non è una informazione sul numero di accessi quotidiani alla toilette, bensì il filo di una matassa molto più articolata? Si può davvero parlare di “aggressione” della privacy?
Come wikyleaks ci ha mostrato, esistono non solo persone, ma interi sistemi ed organizzazioni che, tra un caffè ed un altro, hanno dimenticato di dire qualcosina di leggermente importante.
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Se è vero che con gli strumenti tecnologici a disposizione di tutti (quantomeno, quelli più “conosciuti”) è possibile riuscire a raccogliere informazioni abbastanza facilmente, è altrettanto vero che, allo stato dell’arte, l’uso di questi strumenti ci è praticamente imposto. Anche per avere un conto alla posta o poter fare un pagamento sopra una certa soglia, è d’obbligo l’uso dei sistemi informatici.
Indubbiamente questo pone dei quesiti in merito alla sicurezza delle nostre informazioni ed evidentemente questo sistema di “controllo” potrebbe essere visto come un primo passo volto a minare le libertà personali di ogni individuo.
Tuttavia, in questo sistema, ci siamo ormai immersi ed è alquanto difficile immaginare di poterlo sovvertire da un momento all’altro senza un’azione sistematica e ben strutturata che, probabilmente, potrebbe durare decenni.
C’è anche da considerare, però, che spesso sono proprio gli utenti (anche quelli altamente “alfabetizzati”) a seguire un percorso fatto di caramelline colorate dove, dopo l’ultima caramella, si vede una scintillante gabbia d’acciaio…ma mica si può lasciar per terra l’ultima caramella?
In sostanza, tutta l’architettura tecnologica di cui disponiamo e di cui a volte siamo costretti ad usufruire (anche per semplici operazioni), ci rende certamente vulnerabili.
Assai probabilmente, però, la vulnerabilità è una condizione che ha sempre caratterizzato l’esistenza umana e che quindi, come moltissime cose, è solo un aspetto che è mutato (e muterà) nel tempo, lasciando intatto il germe generatore…l’anziana signora che, osservandoti per bene all’ingresso del Paese, ti chiede “uagliò, ma tu a chi appartien?”