Le Notti Bianche è uno dei racconti dell’epoca giovanile di Fëdor Dostoevskij, pubblicato nella rivista Annali patrii del 1848, composto a ventisette anni. Venne pubblicato con il seguente sottotitolo: «Romanzo sentimentale. Dai ricordi di un sognatore».
«Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno» affermava Vincent Van Gogh
Ne Le Notti Bianche il protagonista è un sognatore. Questo è un elemento autobiografico in quanto Dostoevskij stesso, negli anni Sessanta dell’Ottocento, si professava “un sognatore”. E non è difficile da credere. Molti artisti in quel periodo sono legati al tema del sogno: «Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno» affermava Vincent Van Gogh; basti pensare a qualche decennio successivo, quando Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni. Possiamo, dunque, constatare che il protagonista del racconto abbia la caratteristica dell’autore stesso.
Il racconto parla di un ragazzo che, passeggiando da solo lungo il fiume della città di San Pietroburgo in una notte bianca, incontra per casualità una ragazza di cui si invaghirà, risvegliando in lui il sentimento dell’amore. Ancorato alla dimensione del sogno, nello svelare le curiosità della vita della ragazza, il protagonista decide di svincolarsi dal mondo fantastico decidendosi di aprirsi alla vita reale. Nel reciproco conoscersi il ragazzo scopre che il cuore della sua amata batte per un altro ragazzo. Per riparare al dolore causato dall’amore non corrisposto, ella decide di spiegare comunque il suo sentimento d’amore verso il ragazzo sognatore. Quest’ultimo, accettando il destino avverso, decide di tornare alla dimensione del sogno, che per tutto questo tempo aveva provato a fuggire, lasciando in se stesso un sentimento di delusione, di vuoto e di solitudine.
Un ragazzo che, perso nel mondo immaginifico del sogno, finisce con l’allontanarsi dalla realtà della vita
Il narratore è un sognatore che si rifugia nella dimensione del sogno, quasi come un fantasma che si aggira nella vita delle persone e carpisce momenti, li elabora, a volte li ruba e a volte li prende in prestito, li mette in disordine per poi rimetterli di nuovo in ordine: è un ragazzo che, perso nel mondo immaginifico del sogno, finisce con l’allontanarsi dalla realtà della vita. È un ragazzo che vive di solitudine, che passeggia lungo il fiume di San Pietroburgo, di notte, nel periodo della giornata in cui emergono tutte le mancanze. Non ha amici né conoscenti, è un ragazzo bloccato tra l’attesa di vivere e la paura poi di vivere sul serio. Io ritengo che il protagonista di questo racconto di Dostoevskij possa aiutarci a riflettere sul modo in cui viviamo: siamo isole interconnesse grazie alla tecnologia e ai social network, siamo persone che tutti conoscono ma che nessuno però vuole conoscere per davvero, ovvero nella vita reale. Alienazione ed evitamento sono il perno principale delle emozioni vissute perpetuamente in questo incatenarsi nel mondo dei sogni da parte del ragazzo del racconto di Dostoevskij e che, in fondo, è una realtà che viviamo in modo frequente (e a volte anche inconsapevolmente) anche noi stessi al giorno di oggi, ormai rassegnati all’idea di non potersi né sapersi più relazionarsi in modo genuino con le altre persone.
Essere sognatori è un mestiere duro e Fëdor Dostoevskij ci ricorda che – in questo mondo così pieno di solitudine, di alienazione, di egoismo – qualcuno dovrà ricordarsi di farlo.
L’incontro con la ragazza porta a due conseguenze: il ragazzo si accorge che la vita reale non potrà mai essere battuta dalla dimensione del sogno in cui si rifugia da sempre («Io sono un sognatore; ho vissuto così poco la vita reale che attimi come questi non posso non ripeterli nei sogni»); i suoi sentimenti sono immaturi, non sono mai stati calati nella realtà, di conseguenza si accorge che la ragazza ha una storia da raccontare, ha un amore già vissuto, mentre lui non ha da raccontare granché se non appunto il suo mondo di sogni.
L’ultimo grande sentimento del ragazzo è il rimpianto: nell’aver provato l’ebbrezza di vivere, si rende conto di quanto tempo sia passato nel mondo dei sogni e di come, questo tempo, non possa effettivamente più tornare indietro: perché, come diceva Seneca, “mentre si rinvia la vita scorre”. Essere sognatori è un mestiere duro e Fëdor Dostoevskij ci ricorda che – in questo mondo così pieno di solitudine, di alienazione, di egoismo – qualcuno dovrà ricordarsi di farlo.
«Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?».
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