Una riflessione sui giochi, carezze e transazioni nell’Analisi Transazionale
«Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri».
Alda Merini
Nel precedente articolo, abbiamo affrontato il cuore epistemologico dell’Analisi Transazionale. Ora ci soffermeremo su alcune componenti essenziali delle relazioni interpersonali che rappresentano un punto cardine per l’Analisi Transazionale.
Infatti, l’AT “propriamente detta” si basa sull’analisi delle transazioni fra due (o più) interlocutori. La transazione viene definita da Berne come l’unità fondamentale del rapporto sociale (1964, 1972) e «la si definisce transazione perché ognuna delle due parti in causa ne ricava qualcosa che è poi la ragione per cui vi si impegna». (Berne 1972).
Berne identifica tre tipi fondamentali di transazioni:
le transazioni parallele o complementari in cui le transazioni potrebbero proseguire all’infinito senza “intoppi” nella comunicazione;
le transazioni incrociate in cui, di norma, quando tali transazioni si verificano, la comunicazione si interrompe o subisce un brusco cambiamento di argomento.
le transazioni ulteriori, che, caratterizzate da due strutture di transazioni complementari simultanee, veicolano messaggi su un duplice livello, uno sociale e uno psicologico e a esse è associata la terza regola della comunicazione che afferma che l’esito delle transazioni sarà determinato dal livello psicologico della comunicazione e non da quello sociale.
Questa terza tipologia di transazioni ci spiega perché il “modo” con cui comunichiamo ha più peso di ciò che diciamo. Il messaggio psicologico, detto anche ulteriore, che si esplica nel tono, nell’intensità, nel modo, etc., risulta più potente del contenuto della transazione. Vi è mai capitato, per esempio, in una discussione, di aver ricevuto una risposta comunicativa non congruente a livello emotivo con quanto da voi detto? Se la risposta è affermativa, allora vuol dire che nella vostra comunicazione c’era un intento psicologico, emotivo che ha pesato di più del vostro contenuto ed è proprio quell’aspetto emotivo che ha determinato la risposta non congrua alle vostre aspettative.
Secondo Berne, quando le persone si relazionano con gli altri e comunicano, “strutturano il tempo” e individua uno spettro di opzioni comunicative: l’Isolamento, i Rituali, i Passatempi, le Attività, i Giochi e l’Intimità. Egli descrive ciò come delle strutture interazionali, individuate osservando il modo in cui le persone comunicano concretamente nella vita quotidiana. Secondo Berne, quando i parlanti danno vita a una serie di transazioni, devono necessariamente ricorrere a almeno uno di tali modelli.
Soffermandoci, nello specifico sui “giochi”. In Principi di terapia di gruppo (1966), Berne descrive i giochi come una serie di transazione ulteriori che conducono a un tornaconto ben definito, prevedibile e non consapevole.
In questa tipologia di interazione si verifica sempre un cambio di rotta improvviso a cui fa seguito un momento di smarrimento e confusione e, infine, in entrambi i giocatori insorge un sentimento spiacevole. L’esito è, dunque, normalmente, infelice, in quanto il tornaconto che si riscuote con i giochi è un sentimento che implica una svalutazione o di sé, o dell’interlocutore o di entrambi, e che agisce come conferma e rafforzamento del copione esistenziale, inconscio, che ognuno di noi ha.
Facciamo un esempio: sei in difficoltà e chiedi aiuto a un tuo amico, ma a suo ogni tentativo di aiuto, tu rispondi con un “però”, fino a quando il tuo amico, stanco dei tuoi “però”, ti risponde un po' alterato e tu tronchi la comunicazione, pensando: “ecco, nessuno mi può aiutare, come sempre”. In questo gioco, tu hai fatto in modo, in maniera inconsapevole, di confermare l’idea che tu hai di te stesso e degli altri. Inoltre, con i tuoi “però”, hai ricevuto tante carezze in quanto il tuo amico ha provato continuamente a darti aiuto e questo per te è una modalità di essere visto.
I giochi comportano, quindi, una sofferenza e possono essere abbandonati solo se la persona trova modi alternativi e sani di procurarsi carezze, quindi riconoscimenti. Nel linguaggio dell’Analisi Transazionale, infatti, qualsiasi atto di riconoscimento è definito carezza. Questa fame di “carezze” o di stimoli (che è fame di riconoscimento) è tanto importante come il cibo e l'aria. Questa fame è così sentita che si preferisce una carezza negativa (es. un rimprovero) piuttosto che l'indifferenza. Senza “carezze” non si vive e attraverso i giochi, la persona continua a riproporre strategie infantili, proprio per procurarsi carezze.
Tali strategie, non più efficaci e adatte alla situazione attuale, hanno il vantaggio di garantire una certa quota di carezze che, sebbene prevalentemente negative, evitano la noia e l’inattività e confermano le proprie convinzioni inconsapevoli e non su se stessi, sul mondo e sugli altri. Transazioni, giochi, carezze sono tre concetti interconnessi, fondamentali, che ci consentono di osservarci e riflettere per comprendere il senso del nostro agire verso gli altri e, soprattutto, verso noi stessi.
Cogliere il tornaconto nascosto in un gioco, ci permette prima di tutto di passare dalle transazioni incrociate a quelle parallele e quindi non restare spiazzati… ci permette di sentire il bisogno di riconoscimento insito in ciascuno di noi e che ci fa chiedere: cosa sono disposto a fare, con gli altri e con me stesso, per essere visto e riconosciuto? Riconosciuto da chi? Quali carezze sento più necessarie per la mia vita?
A ciascuno, la propria risposta…
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