Bologna, 2 agosto, h. 10:25: il rimbombo del lato oscuro della Repubblica
- Ilenia D’Alessandro

- 1 ago
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Ci sono ore e minuti che non smettono di ticchettare. Le 10:25 del 2 agosto 1980 per esempio. Ogni anno, nel cuore dell’estate italiana, l’orologio della stazione di Bologna si ferma ancora a quell’ora. Non per rispetto ma per ammonimento. Perché quello che accadde lì (85 morti e oltre 200 feriti, brandelli di carne e polvere mescolati al cemento) non è soltanto una strage.
È un patto: la ceralacca di un potere oscuro che ha usato la paura per dominare tutti i livelli della società italiana.

Chi ha premuto il grilletto, quel giorno, ha nomi e cognomi. Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini: militanti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), un gruppo terrorista di matrice neofascista, condannati come esecutori materiali. Ma la giustizia, quando si ferma alla punta dell’iceberg, smette di essere giustizia e diventa garza per tamponare e cerotto per coprire. È ciò che accade da troppo tempo, mentre una parte dello Stato, o forse solo quella che si dichiara(va) tale, gioca(va) a mosca cieca con la verità.
Perché dietro i detonatori e le coperture, dietro gli ordigni piazzati e i depistaggi orchestrati con perizia militare, si intravede il volto coperto di un sistema che ha fatto del terrore un’arma di governo. Un sistema che non si nascondeva solo nei gruppi armati da quattro soldi ma si rifletteva anche negli specchi dorati dei palazzi romani, nei salotti affollati di diplomatici e generali in pensione, tra faldoni segnati da timbri rossi e silenzi d’oro.
La Loggia P2, laboratorio occulto del potere parallelo, è la chiave che apre molte porte. Solo che non tutte le porte, ancora oggi, hanno la serratura.
Non solo quella del massacro di Bologna ma anche quelle della strategia della tensione, dei golpe sussurrati, delle liste nere e dei piani di “rieducazione democratica”. Licio Gelli, burattinaio compiaciuto (e marionetta a sua volta), non era che l’ombra e l’ombra ha sempre bisogno di una luce e di una presenza tangibile per esistere.
Il sistema della pressione, come lo chiamava uno dei suoi ingegneri, agiva per infiltrazione, non per conquista. Si trattava di “spingere”, “interferire”, di fare in modo che gli apparati si muovessero nella direzione giusta. Servizi deviati (architetti), magistrati selezionati (artigiani) imprenditori consenzienti (muratori), giornalisti (manovali). Il cantiere si azionava da sé. Non serviva comandare, bastava orientare.
E al vertice di quella piramide, qualcuno dice e disse, ce n’era un’altra, rovesciata, in cima alla quale un vuoto apparente ma che profilava una presenza potente che non ha mai avuto bisogno di illuminarsi. Una figura che ha sempre saputo dove e come stare e, soprattutto, come celarsi dietro un bel vestito e una bella poltrona. Una mente geniale e agghiacciante che ha preferito la riservatezza al clamore, il compromesso alla condanna, l’omissione alla verità piena. Ogni passo registrato, ogni silenzio misurato, ogni alleanza calibrata, con l’abilità di un chirurgo della Repubblica.
La strage di Bologna è stata un messaggio, non un errore. Non un colpo impazzito del terrorismo, ma un linguaggio. Quello della destabilizzazione per mantenere l’ordine. Un sacrificio umano sull’altare del controllo. Una lezione impartita con il sangue: sappiate che nulla è possibile se noi decidiamo che non lo sia.
Oggi, chi invoca memoria dovrebbe imparare a invocare anche la colpa. Non basta commemorare i morti, se non si nominano i vivi che ne trassero vantaggio. Non basta affermare che lo Stato ha vinto, se una parte dello Stato ha combattuto contro la sua stessa Costituzione. Finché la verità resterà parziale, la giustizia sarà solo una parodia e l’orologio della stazione continuerà a ticchettare come un metronomo beffardo: 10:25, 10:25, 10:25.
Nel rimbombo di quel tempo sospeso, l’Italia sente ancora le urla strozzate di Angela Fresu, l’agnello sacrificale di soli 3 anni. Ma più inquietante ancora, forse anche delle sue grida, è il silenzio dei burattinai, dei loro successori, dei loro discepoli. Perché chi non rompe la catena del potere occulto, ne resta servo. E chi nega che la Repubblica di oggi sia nata con quelle ombre, da quei massacri, ha già deciso a quali padroni appartiene.





