23 maggio 1992. Il bilancio di una lotta a 33 anni da Capaci
- Massimo Battiato
- 23 mag
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In occasione di ricorrenze che hanno segnato la storia di questo paese, come quella della strage di Capaci in cui il giudice Giovanni Falcone ha incontrato la morte insieme alla moglie Francesca Morvillo e a agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, è difficile non scadere nella vuota retorica e sarebbe il modo peggiore per onorare la memoria del giudice scomparso a causa della sua azione di contrasto alla Mafia.

A distanza di 33 anni da quegli eventi si potrebbe fare un bilancio di come sia andata la lotta alla mafia. Sicuramente sono stati fatti dei notevoli passi avanti, almeno con l’arresto di tutti i capi mafiosi fino a Matteo Messina Denaro, ma, ovviamente, è illusorio che si possa affermare che il fenomeno mafioso sia stato debellato. Le infiltrazioni delle organizzazioni criminali nella vita politica ed economica ci sono ancora sicuramente. Solo che non stiamo attraversando una fase in cui la Mafia si manifesta con atti violenti e delittuosi in aperta sfida allo Stato. Potrebbe essere anche il segno di una normalizzazione degli affari che i mafiosi continuano a fare sul territorio. Potrebbe anche essere che in fondo, anche per loro, la trattativa sia andata a buon fine.

Se, comunque, è indubbio che i principali latitanti siano stati tutti arrestati, rimangono comunque molte zone d'ombra relative ai rapporti che ci sono stati tra rappresentanti della mafia e dello Stato. Il processo sulla trattativa tra Stato e Mafia è stato celebrato proprio per tentare di chiarire questo tipo di rapporti. La sentenza di questo processo, cioè la verità processuale, ha stabilito che la trattativa c’è stata, solo che è stata considerata un reato solo per i mafiosi che sono stati condannati, mentre, sempre secondo la sentenza, i carabinieri che hanno trattato con i mafiosi non avrebbero compiuto alcun reato. Una strana asimmetria che rischia di legittimare questo tipo di comportamento di uomini delle istituzioni. Tanto è bastato ai critici di questo processo per attaccare duramente i magistrati che lo hanno celebrato. Come se i processi non si fanno per stabilire la verità, ma sempre per condannare qualcuno, altrimenti è inutile farli. Veramente uno strano concetto di garantismo!
Infine, qualche considerazione su come l’atteggiamento della gente sia cambiato rispetto a 33 anni fa e non ci sia più la grande indignazione popolare che si era scatenata dopo gli attentati a Falcone e Borsellino. Non credo che questa mancanza di indignazione dipenda solo dalla mancanza di atti violenti da parte della Mafia, ma forse più da uno stato di assuefazione al malaffare che sfocia nella rassegnazione. In ogni caso, proprio per questo motivo è necessario mantenere viva la memoria della Strage di Capaci, perché l’attenzione sul fenomeno mafioso non venga mai a mancare e le coscienze non si assopiscano.