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Smartphone a Scuola: divieto illuminato o ritorno al passato?

Nel panorama scolastico contemporaneo, il divieto dell’utilizzo dei telefoni cellulari, durante l’orario di lezione, rappresenta una delle questioni più dibattute e divisive. Nonostante le disposizioni ministeriali — ribadite con fermezza dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara — il rispetto effettivo di tale norma, incontra resistenze strutturali, culturali e operative, rivelando la complessità di un fenomeno che va ben oltre la semplice presenza di un dispositivo elettronico tra i banchi. Se da un lato, la normativa sembra inequivocabile, dall’altro, la sua applicazione concreta nelle scuole, di ogni ordine e grado, si rivela tutt'altro che agevole. 

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I dirigenti scolastici e il corpo docente, si trovano spesso privi di strumenti coercitivi adeguati o di un quadro sanzionatorio uniforme, affidandosi a regolamenti interni di istituto che variano considerevolmente da scuola a scuola. La vigilanza risulta difficoltosa, soprattutto nei contesti più affollati e disomogenei. Inoltre, il tentativo di far rispettare il divieto, può generare tensioni con le famiglie, alcune delle quali percepiscono l’interdizione come una negazione della possibilità di contatto con i figli, specie nei casi di emergenza.

 

I sostenitori del divieto evidenziano numerosi vantaggi. In primo luogo, la rimozione del cellulare dall’ambiente scolastico consente di ridurre le distrazioni e favorire la concentrazione, elementi indispensabili per l’apprendimento. Il ritorno a un tempo “libero dalle notifiche” permette agli studenti di riappropriarsi della comunicazione diretta, del dialogo, dell’ascolto reciproco. Inoltre, vietare l’uso dei dispositivi può prevenire fenomeni sempre più diffusi, quali il cyberbullismo, la diffusione illecita di immagini e l’alienazione da contesto. Le aule si trasformano così in spazi protetti, in cui la presenza fisica prevale sulla connessione digitale, e l’identità dello studente non viene filtrata da uno schermo.

 

Tuttavia, non mancano le voci critiche. In un’epoca in cui la didattica digitale è parte integrante dell’istruzione — anche per effetto delle esperienze pandemiche — proibire totalmente l’uso del cellulare potrebbe apparire anacronistico o addirittura controproducente. La vera sfida sembra essere quella di formare cittadini digitali critici, capaci di scegliere autonomamente quando disconnettersi, discernendo l’utile dal superfluo. Per farlo, è necessaria una sinergia tra scuola, famiglia e società, nonché una riflessione educativa che superi la logica del semplice “proibire”.

 

La proposta di Valditara, se da un lato risponde a necessità indiscutibili di protezione e qualità dell’apprendimento, dall’altro potrebbe rischiare di rinunciare a una delle sfide più affascinanti dell’educazione moderna: formare cittadini consapevoli, in grado di destreggiarsi in un mondo che è intrinsecamente digitale.

 

La questione dell’uso dei cellulari a scuola non può ridursi a un dualismo tra proibizione e permissività. Si tratta, piuttosto, di interrogarsi sul significato stesso dell’educazione in un’epoca dominata dal digitale. È meglio escludere il cellulare dalle aule per proteggere gli studenti, o integrarli nei processi educativi per prepararli al mondo reale? La risposta non è univoca, il dubbio rimane. Forse, più che “vietare”, dovremmo insegnare a scegliere. Ma siamo davvero pronti — come scuola e come società — a compiere questo passo?

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