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Shantaram: un viaggio per lettori curiosi

Una mia cara amica per il mio compleanno ha deciso di regalarmi un libro che, per mia ignoranza, non conoscevo: Shantaram di Gregory David Roberts, uno scrittore australiano, pubblicato nel 2003. Il motivo di questo dono è stato il seguente: «Ti ho pensato guardando questo libro perché sei curioso di altre culture, visioni del mondo e storie di vita vera». In fondo, non è la curiosità di scoprire la vita, la vita stessa? Il senso della vita è vivere e vivere è partecipazione, è essere partecipi attivi del mondo. Di conseguenza, questa mia amica è proprio cara perché ha colpito, come sempre, nel segno. Perché Shantaram mi è entrato proprio nel cuore.

 

È un romanzo autobiografico di ben oltre mille pagine e che racconta in modo scorrevole, ma anche molto diretto, molte delle vicende crude di una vita nel terzo mondo, in un incontro di relazioni personali e di culture da togliere il fiato, in cui ancora oggi si percepisce la necessità di Shantaram, di «uomini di pace»; in lingua marathi significa, appunto, «uomo della pace di Dio».

 

È difficile costruire una trama dettagliata ma Shantaram è la storia di Roberts che evade dalla prigione dello Stato di Victoria e che vivrà un periodo piuttosto lungo della sua latitanza a Bombay, in cui attraverso il suo amico Prabaker, riuscirà ad organizzare una clinica gratuita per le baraccopoli della città (gli slum). Qui si avvicinerà molto alla cultura indiana, tanto da stupire le persone del luogo, imparando la lingua marathi da straniero. Costretto a trascorrere un periodo molto duro in carcere, incastrato dalla maitresse di Bombay, subirà numerosi pestaggi e maltrattamenti, finché non verrà rilasciato da un amico, Abdel Khader Khan, uno dei capo clan più famosi della città.

 

Per conto di quest’ultimo, si adopererà nel riciclaggio e nella contraffazione di passaporti. Vivrà esperienze di scontri tra bande e si adopererà in una missione di contrabbando per conto di un mujaheddin afgano. Qui, Roberts prende consapevolezza di aver perso nelle guerriglie il suo mentore Khan e – probabilmente – il suo migliore amico Prabaker. Nella depressione che lo coinvolgerà nella parte finale del libro, riscoprirà il valore di una vita giusta e spesa per il bene, cercando di rifarsi una vita onesta nella città in cui ha incontrato una cultura diversa e che ha deciso di amare e abbracciare per il resto della sua vita: Bombay.

 

Nelle varie peripezie, l’autore lascia spazio ad alcune riflessioni morali su vari temi come l’Amore, Dio, le amicizie. Un piano morale inevitabile per le riflessioni che Roberts compie in tutto il suo viaggio in virtù dei crimini commessi, attraverso concetti filosofici millenari con dei temi delicati, come il Bene o il Male:

 

«La verità è che non esistono uomini buoni o cattivi […] Sono le azioni a essere buone o cattive. Gli uomini sono soltanto uomini: è quello che fanno o evitano di fare che li guida al bene o al male. La verità è che un istante di amore autentico, nel cuore di qualsiasi persona – il più nobile o il più malvagio degli uomini – possiede lo stesso fine, la stessa evoluzione e lo stesso significato, ed è come una gemma fra i petali di loto della sua passione. La verità è che ognuno di noi, ogni atomo, ogni galassia e ogni particella di materia nell’universo, si sta muovendo verso Dio».

 

Per chi ha interesse a porsi delle domande sulle grandi questioni filosofiche, Shantaram è il libro giusto. Perché è consolatorio, parla di pace, è motivante. O almeno per me lo è stato: è un toccasana per l’anima.

https://pixabay.com/photos/mumbai-india-bombay-sea-boat-7216380/

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