Religione sì, educazione sessuale no: il paradosso educativo italiano
- Samantha Leone

- 14 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Mia figlia ha tre anni e mezzo ed è al primo anno della materna.
Quando mesi fa ho fatto la domanda per la scuola pubblica, nel modulo da compilare mi sono trovata davanti la scelta: vuole avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica?
Non siamo sposati in chiesa, non è battezzata, non abbiamo cristi e madonne in casa, non santifichiamo le feste. Quindi, inutile anche pensarci, la risposta è sicura: NO.
E poi, siamo in uno stato laico, ci sarà una moltitudine di bambini di etnia diversa, perché deve avvalersi della religione cattolica? Se ci fosse stata la dicitura “Religione” e basta, magari ci avrei pure pensato. Alla fine, è cultura, è orientamento verso la verità attraverso modi di pensare diversi, è avvicinamento all’arte alla letteratura. Ma no, qui si parla proprio di religione cattolica.
Vabbè, fatto sta che poche settimane dopo l’inizio della scuola, la maestra viene da me e mi fa: “ma lei è sicura di non volerle far seguire religione?” - Sì.
La maestra di invadenza incalza: “E perché no?” - Perché a casa abbiamo deciso così.
Al che: “Eh, ma lo sa che la bambina il giovedì deve uscire un’ora dalla classe?” - E mica uscirà da sola…
“No certo, esce con altri bambini ma sono tutti stranieri.”
Gelo.
…e quindi?
“Eh ma sa signora, loro fanno gruppo tra di loro…”
A 3 anni? E vorrà dire che mia figlia farà gruppo anche con loro.
Fine del discorso.
Ovviamente, questa cosa mi disturba per tutta una serie di motivi e ne parlo con la santa della mia terapista che, cercando di risolvere il mio disturbo d’ansia e d’ira, mi dice di vederla dal punto di vista di una maestra che si preoccupa che la bambina soffra il distacco da alcuni degli amici con cui ha legato di più e blablablà…
Ora, per quieto vivere -almeno con me stessa- decido di accettare questa visione terapeutica e di accantonare quella puzza di malcelato razzismo che invece ho percepito. Ma allora mi chiedo:
L’educazione sessuale e affettiva, no. Ma la religione cattolica, sì.

Perché le maestre, i maestri, gli educatori, le educatrici, tutto il sistema scolastico formatore e plasmatore delle menti dei nostri giovani piccoli uomini e donne di domani non si espone così tanto per la decisione di non fare un’educazione sessuale e affettiva a scuola?
Perché ci sta bene che in un paese laico si decida a priori che la religione cattolica va fatta - e chi non la fa è lo straniero che fa il gruppetto - mentre non si può decidere, anche facoltativamente eh (almeno per i primi anni scolastici, poi dovrebbe essere obbligatorio), di seguire un’educazione sessuo-affettiva?
Perché in un paese dove il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (circa 6 milioni e 788 mila persone) ha subìto nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale, e dove nel 2024 si sono registrati 111 casi di femminicidi, non si può parlare di educazione al consenso e alla sessualità a scuola, ma si può presentare un emendamento per eliminare il divieto di affiggere pubblicità sessiste, omofobe o lesive della dignità su strade e mezzi pubblici?
Cosa si pensa che si farà in classe?
“Allora ragazzi, da oggi tutta questa fila è L, quest’altra è G, questa invece è B, e l’ultima è T. Tu sei disparo quindi fai bene la A+” oppure “aprite il manuale Storia e letteratura del kamasutra” o ancora “domani tutti in shorts e tacchi che facciamo lezione di twerking”.
È troppo difficile capire che invece verrà insegnato il consenso, il rispetto del corpo e delle relazioni, i diritti, i confini, il - banalmente - come non vergognarsi di tirare fuori dallo zaino un assorbente, o il proteggersi dalle malattie o che le precazioni esistono e vanno usate.
Quindi continuiamo pure a evitare di spiegare cos’è il sesso, la sessualità, l’intimità, il consenso. Continuiamo a far finta che sia un tabù, un argomento sporco, che crea imbarazzo e risatine sussurrate. Così anche la prossima generazione crescerà frustrata, senza risposte, e andrà a cercarle su internet, imparando che il sesso è sottomissione, performance, misure, durata. E ci ritroveremo ancora una volta con ragazzi pieni di ansia da prestazione e insicurezze, convinti che il proprio corpo non vada mai bene, e che l’intimità sia qualcosa da esibire o subire, e non da vivere.
Ma no, tranquilli. Continuiamo a raccontare che l’acqua diventa vino, e non che “no” significa NO.





