Le Nazioni Unite ripristinano le sanzioni contro l’Iran
- Maddalena Pareti

- 29 set
- Tempo di lettura: 3 min
Le Nazioni Unite hanno ripristinato le sanzioni contro la Repubblica Islamica, accusando il paese di aver violato l’accordo sul nucleare del 2015, noto come JCPOA.

Le Nazioni Unite hanno ripristinato le sanzioni contro l’Iran, accusando il paese di aver violato l’accordo sul nucleare del 2015, noto come Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPOA). Questo accordo, stipulato tra Iran, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Cina, Germania e Unione Europea, ha l’obiettivo di limitare l’arricchimento di uranio iraniano per impedire a Teheran di sviluppare armi nucleari, un’eventualità che altererebbe gli equilibri in Medio Oriente, con conseguenze significative per Israele.
Il piano prevede il “meccanismo snapback”, che consente a Francia, Germania e Regno Unito di reintrodurre le sanzioni sospese nel 2015 in caso di violazioni da parte dell’Iran.
Venerdì, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha respinto una bozza di risoluzione proposta da Cina e Russia, che mirava a prorogare il JCPOA di sei mesi, fino al 18 aprile 2026, per posticipare le sanzioni. La proposta ha ottenuto il sostegno di Russia, Cina, Algeria e Pakistan, ma è stata bocciata con nove voti contrari, tra cui quelli di Stati Uniti e Francia, e due astensioni.
Francia, Regno Unito e Germania hanno votato a favore delle sanzioni, accusando l’Iran di non aver rispettato gli impegni del 2015, nonostante Teheran neghi le accuse.
Israele ha accolto con favore la decisione. “L’obiettivo è chiaro: impedire che l’Iran sviluppi armi nucleari. Il mondo deve utilizzare ogni strumento per raggiungere questo scopo”, ha dichiarato il Ministero degli Esteri israeliano in un post su X.
Le sanzioni ripristinate impongono a Teheran un embargo sulle armi convenzionali, il divieto di attività di arricchimento e ritrattamento dell’uranio, restrizioni sui missili balistici in grado di trasportare testate nucleari, il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per numerosi cittadini iraniani coinvolti nel programma nucleare. Inoltre, tutti i paesi sono autorizzati a sequestrare e smaltire articoli soggetti a sanzioni, mentre all’Iran è vietato acquistare beni legati all’estrazione di uranio o a tecnologie nucleari.
Si prevede che le sanzioni avranno un impatto significativo sull’economia iraniana. Il Riyal iraniano, la valuta nazionale, ha toccato minimi storici, con un aumento del 100% dei prezzi dei generi alimentari essenziali, alimentando il malcontento in un paese già provato dalla “guerra dei dodici giorni” contro Israele nel giugno 2025.
Nonostante il presidente iraniano Massoud Pezeshkian abbia dichiarato, a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU, che l’Iran non intende ritirarsi dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del parlamento, Ebrahim Rezaei, ha rivelato che i parlamentari hanno già elaborato diversi piani per un eventuale ritiro dal TNP. Rezaei ha anche suggerito che le sanzioni potrebbero rappresentare un’opportunità per sviluppare l’industria nucleare iraniana.
Il ministro degli Esteri della Repubblica Islamica, Abbas Araghchi, aveva avvertito che l’attivazione del meccanismo snapback avrebbe avuto gravi conseguenze. Alcuni analisti ritengono che, oltre alla minaccia di ritiro dal TNP, Teheran stia valutando di limitare la cooperazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e di classificare Francia, Germania e Regno Unito come “stati ostili”. Quest’ultima misura consentirebbe alle forze armate iraniane di ispezionare navi battenti bandiera di questi paesi nel Golfo Persico e nel Mar di Oman.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in un’intervista a Fox News, ha dichiarato che il Mossad conosce la posizione delle scorte di uranio arricchito in Iran e che tali informazioni sono state condivise con gli Stati Uniti. Netanyahu ha aggiunto che i servizi segreti israeliani potrebbero intervenire “se necessario”, aumentando il rischio di una ulteriore escalation dei conflitti nella regione.





