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La manipolazione di Netanyahu sulle accuse: mandato di arresto della CPI

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Questa decisione, tuttavia, non è legata alle accuse di genocidio, poiché la CPI giudica le persone individualmente, il procedimento per genocidio avviato dal Sudafrica è ancora in corso. Israele, non riconoscendo la giurisdizione della CPI, non collaborerà né arresterà Netanyahu. Il primo ministro potrebbe essere arrestato solo se si recasse in uno Stato che ha ratificato lo Statuto di Roma, il trattato che nel 2002 ha istituito la CPI. Tuttavia, l'arresto dipenderebbe dalla volontà del singolo Stato, poiché la CPI non ha l'autorità per obbligare gli Stati a eseguire gli arresti. Un esempio di questa situazione è rappresentato da Vladimir Putin, che non è stato arrestato durante la sua visita in Mongolia nonostante fosse anch'egli oggetto di un mandato di arresto della CPI.

In Italia, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha già dichiarato che Netanyahu può visitare tranquillamente il Paese senza rischiare l'arresto, affermando che "i criminali sono altri". Siamo sorpresi? Mi sa di no.


Negando categoricamente ogni accusa, l'ufficio di Netanyahu ha dichiarato che Israele non "si piegherà alle pressioni, non si farà intimidire e non arretrerà" fino al raggiungimento degli obiettivi della guerra, bollando le accuse come antisemite. La retorica rimane invariata e ridicola, poiché tutti coloro che si oppongono a Israele sono considerati antisemiti e quindi nemici degli ebrei di tutto il mondo. La realtà è che la manipolazione delle informazioni di Netanyahu non solo è ormai scontata ma mostra che il suo potere sta vacillando.


Si vede dalla sua decisione di eliminare tutti coloro che sono contro di lui anche nel gabinetto di guerra, tra cui anche Gallant. In più il 2 dicembre, Bibi sarà chiamato a deporre davanti ai giudici nei due casi di corruzione per i quali è indagato da anni.


Ma cosa succede se viene condannato? Cambierà qualcosa nella politica di guerra?

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