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Il secolo di Camilleri: un’eredità viva tra parole, memoria e impegno

In questi giorni si celebra il centenario della nascita di Camilleri, e il mondo della cultura – dalla televisione alle iniziative editoriali – gli rende omaggio con una serie di iniziative e approfondimenti. Se ancora non conoscete a fondo la sua figura, vi consiglio di iniziare con “Camilleri 100”, un documentario disponibile su RaiPlay: un racconto intimo e appassionato (e a tratti sorprendentemente tecnico), arricchito da testimonianze di persone che hanno segnato il suo percorso umano e artistico. Sempre su RaiPlay, sono disponibili anche alcuni episodi de Il commissario Montalbano e molte interviste al Maestro che meritano di essere (ri)scoperte. 

Antonio Pignato, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Antonio Pignato, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Gli inizi in RAI

 

La carriera di Andrea Camilleri inizia negli anni Cinquanta in RAI, dove si distingue per originalità e innovazione, lavorando prima in radio e poi in televisione. Porta in Italia il teatro dell’assurdo e cura sceneggiati di successo come Le avventure di Laura Storm, Il Tenente Sheridan e Il commissario Maigret. Convinto del valore educativo della TV, promuove l’adattamento di grandi opere letterarie per diffondere la cultura e favorire l’unificazione linguistica. Negli anni ’60, come produttore esecutivo, cura un ciclo televisivo di commedie di Eduardo De Filippo, contribuendo alla loro diffusione presso il grande pubblico.

 

Andrea Camilleri scrittore: un’eredità viva tra letteratura, lingua e territorio

 

A trent’anni dalla pubblicazione del primo romanzo del commissario Montalbano, l’influenza di Andrea Camilleri continua a essere fortissima, non solo tra i lettori, ma anche tra gli scrittori di gialli delle generazioni successive. Autori come Maurizio De Giovanni, Antonio Manzini e Gaetano Savatteri riconoscono apertamente il debito nei confronti del maestro siciliano: Camilleri ha rilanciato il genere in Italia, dimostrando che il giallo può essere molto più di un semplice intrattenimento. Può essere letteratura, denuncia sociale, ritratto umano e specchio di una realtà complessa.

 

Una delle sue più grandi intuizioni è stata proprio questa: trasformare la provincia siciliana in un universo narrativo ricco, stratificato e credibile, capace di parlare a tutti. E lo ha fatto attraverso una lingua personalissima, il cosiddetto “vigatese” – una miscela originale di italiano e dialetto siciliano – che, pur non essendo codificata, è diventata comprensibile e amata anche fuori dai confini regionali. Camilleri ha saputo innalzare il dialetto a strumento letterario nobile, mai folkloristico, usandolo come lingua degli affetti, dell’ironia, ma anche della verità e del dolore.

 

Camilleri ha introdotto una novità straordinaria nel panorama del giallo ambientato in Sicilia: la mafia è presente, è una realtà innegabile, ma non è al centro della narrazione. Rimane sullo sfondo, come un elemento strutturale del contesto, mentre l’attenzione si concentra su altri aspetti della società e dell’animo umano. Probabilmente la sua intenzione era quella di restituire un’immagine onirica ma autentica della Sicilia: una terra complessa, affascinante e contraddittoria. Un luogo reale ma anche letterario, costruito con lo stesso spirito innovativo del “vigatese”, in cui i problemi non vengono nascosti né edulcorati, ma riletti con uno sguardo originale, capace di rimescolare le carte e raccontare il noto in modo completamente nuovo.

 

Accanto ai gialli di Montalbano, Camilleri ha lasciato un segno indelebile anche con i suoi romanzi storici, dove la ricostruzione d’epoca si intreccia con un tono ironico e graffiante. Opere come La concessione del telefono, Il birraio di Preston e La mossa del cavallo non solo offrono uno sguardo lucido sul passato siciliano e italiano, ma mettono in scena un’umanità viva, paradossale, a tratti grottesca, che riflette vizi e meccanismi del potere ancora attuali. Questi romanzi dimostrano la capacità di Camilleri di usare la storia come lente per leggere il presente.

 

La forza del suo linguaggio è stata poi amplificata dalla straordinaria trasposizione televisiva dei suoi romanzi. Le serie del Commissario Montalbano prima e del Giovane Montalbano poi, trasmessa dalla Rai e interpretate da Luca Zingaretti e Michele Riondino, hanno avuto un impatto decisivo sull’immaginario collettivo. Non solo hanno amplificato notevolmente il successo editoriale dei libri, ma hanno permesso una rivalutazione del territorio siciliano, in particolare delle province di Ragusa e Siracusa, trasformando luoghi come Scicli, Ragusa Ibla e Punta Secca in mete turistiche amate e riconoscibili. La Sicilia raccontata da Camilleri, con tutte le sue contraddizioni, è diventata simbolo di bellezza, identità e cultura.

 

Ma oggi, a sei anni dalla sua scomparsa, ci accorgiamo anche di quanto ci manchi Andrea Camilleri. Manca la sua saggezza naturale, quella capacità di osservare il mondo con occhi lucidi ma mai cinici, di leggere il presente con profondità storica e intellettuale. Era una voce mai banale, capace di cogliere l’essenziale con ironia e fermezza.

 

In tempi difficili, segnati da nuove tensioni sociali e dal ritorno di ideologie pericolose, la sua voce civile e profetica sarebbe stata preziosa. Le parole di Andrea Camilleri ci offrono un insegnamento profondo: la sua famosa citazione “non bisogna mai avere paura dell’altro, perché tu rispetto all’altro sei l’altro” ci invita a vedere nell’altro non un nemico, ma una parte di noi stessi. È un richiamo all’empatia e al rispetto, per abbattere muri e pregiudizi in un mondo spesso diviso da paure e diffidenze. L’altro, dunque, non è mai un pericolo, ma un riflesso della nostra stessa umanità.

 

In definitiva, Andrea Camilleri ci ha lasciato un’enorme ricchezza, ma anche un vuoto: quello di una voce autorevole, capace di tenere insieme cultura, coscienza civile e umanità. Una voce di cui, oggi più che mai, sentiamo il bisogno.

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