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Il presepe napoletano: uno scenario multiculturale nelle nostre case

In un contesto sempre più orientato al “politically correct”, dove ogni ideologia è orientata ad una società più equa e inclusiva possibile, probabilmente il presepe napoletano del ‘700/800 rispecchia perfettamente questa tendenza, in cui la cultura orientale e pagana entra nelle scene, nei personaggi, e nell’ambientazione presepiale in maniera del tutto originale e naturale, fondendosi con i costumi meridionali. La tradizione del presepe a Napoli è oggi ancora molto diffusa, tant’è che rappresenta un carattere distintivo della città; basta infatti farsi un giro nella famosa via “San Gregorio armeno”, dove i maestri del presepe mostrano orgogliosi la propria arte ai numerosi viandanti, che affollano quella strada durante tutto l’anno per ammirare le celebri statuine. Un altro dettaglio in questa strada è degno di nota: sotto l’arco che unisce i conventi, si può notare un bassorilievo raffigurante la dea Cerere, antica sacerdotessa, sul cui tempio l’imperatrice Elena fece costruire una chiesa. Al termine di questa strada incontriamo la Basilica di San Paolo maggiore, costruita sul tempio dei Dioscuri, di cui restano visibili due colonne di ordine corinzio con relativo architrave. Proprio qui, nel Decumano Maggiore, esistevano le fornaci per cuocere e realizzare delle statuine in terracotta che venivano offerte alla dea. Una tradizione che sembra ripetersi oggi e che prende forma nei pastori del nostro presepe che rievocano il mistero del Divino.

MM, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
Roma, Basilica dei Santi Cosma e Damiano, presepe napoletano del Settecento - MM, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La cultura del presepe napoletano, così come lo intendiamo oggi, nasce nel 1500 grazie a S. Gaetano di Thiene, il quale inaugurò l’ingresso nel presepe di personaggi secondari. Nel 1600 gli artisti napoletani iniziarono a dare una nuova connotazione, con l’introduzione di scene quotidiane di vita tipiche della Napoli di quel tempo, che pian piano andarono a sostituire le scene del vecchio e del nuovo Testamento, in voga negli anni precedenti. Gli artisti iniziarono così a dar vita ai nuovi personaggi, che ancora oggi affollano i nostri presepi: la contadina, il popolano, il macellaio, la locanda, i mendicanti. Insomma, un presepe in cui il sacro incontra il profano, in cui si intreccia l’elemento cristiano con il vissuto popolare partenopeo. L’apice venne raggiunto nel 1700, quando si aggiunge l’elemento pagano: il tempio in cui nasce il bambino Gesù. Se fino a quel momento l’elemento scenografico centrale era stato la mangiatoia, ora lo scenario cambia: l’artista decide di collocare la natività tra i ruderi di un tempio pagano a simboleggiare il trionfo del cristianesimo sulla cultura classica. L’innovazione del tempio diruto è considerata da molti una reminiscenza del mondo classico presente nelle arti fin dal Rinascimento. A ciò si aggiunge il rilancio di questo mondo a seguito della riscoperta di Ercolano e Pompei sul finire del Settecento.

 

La silenziosa e sconosciuta Betlemme dei vangeli è sostituita da una Napoli allegra, colorata e multiculturale, in cui l’elemento orientale incontra la cultura partenopea, e il presepe diventa occasione per conoscere nuovi orizzonti culturali. In fondo la città di Napoli ha da sempre dimostrato una forte propensione all’accoglienza di culture diverse, tanto da recepirle per farne un unicum con la propria. Nel presepe napoletano queste contaminazioni culturali produrranno un risultato unico e originale: nuovi personaggi animeranno le scene con dovizia di particolari. Saranno soprattutto i magi ad offrire allo spettatore quei dettagli nuovi dal sapore orientale. «In un tale contesto i Magi, sulla base di una tradizione oramai consolidata, saranno rappresentati dai tre re, due di razza bianca (il vecchio e il giovane) e l’altro di razza scura, il re moro» . Sarà il loro abbigliamento ad essere particolarmente arricchito di elementi orientali: il turbante, tipico copricapo musulmano, i gilet ricamati in oro e argento, i ricchi calzari ai piedi sono tra gli accessori che arricchiranno la corte dei Magi.

Sailko, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Sailko, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

Altro elemento che si aggiunse, grazie all’influenza orientale, fu la banda musicale del corteo dei Magi, di origine ottomana, strenui difensori dell’Islam. I musicisti vengono rappresentati dagli artisti con caratteristiche somatiche ben precise: «con naso grosso e talvolta uncinato, labbra pronunciate, orecchie staccate dal perimetro facciale, lunghi mustacchi e colore bruno rossigno della pelle» .

 

Insomma, il presepe napoletano finisce per essere espressione perfetta di una società multirazziale, in cui l’oriente si mescola con l’occidente, dove l’arte riesce a trasmettere le peculiarità di civiltà diverse, amalgamandole in una perfetta armonia di suoni, colori e stili. Presente in ogni casa napoletana, il presepe non solo ha il merito di ricordare e celebrare il mistero dell’incarnazione, ma accende il focus sull’uomo, sulla diversità di culture che mescolandosi tra le scenografie, i personaggi, i costumi, mette in scena la vita quotidiana, quella fatta di gioie e dolori, nascita e morte.

 

Concludo questa riflessione sul multiculturale presepe napoletano, con una bellissima frase del Cuciniello «non essere altro il presepe napoletano, se non una pagina del Vangelo tradotta in dialetto napoletano.»

Francesco Bini, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Francesco Bini, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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