Il diritto dei bambini alla salute e all'istruzione: il caso Palmoli
- Mario Bove
- 1 giorno fa
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Ines Maggio è un’assistente sociale attiva a Roma a cui abbiamo chiesto un parere su quanto stesse accadendo a proposito della cosiddetta “famiglia nel bosco” di Palmoli in Abruzzo. Nel momento in cui pubblichiamo l’intervista, la situazione ha subito un’evoluzione grazie alla concessione temporanea di un’abitazione a norma da parte di un imprenditore locale. Lo scopo del gesto è stato quello di agevolare il processo di ricongiungimento familiare insieme alla possibilità di adeguare la casa nel bosco agli standard minimi richiesti dal tribunale. Nel mentre, restano le eco dei “libertari”, sorti per difendere una scelta che della libertà, probabilmente, ne fa abuso quando si priva dei minori di strumenti di socializzazione con i pari e li si obbliga a vivere in un luogo poco sicuro e salubre.
Che giudizio si è fatta sul caso della "famiglia nel bosco" di Palmoli?
Premettendo che non ho letto tutti gli atti necessari, mi soffermo sulle informazioni rese note. Il problema non è il vivere nel bosco ma il “come”, a prescindere dalle convinzioni personali i minori devono poter avere delle opportunità fondamentali, quali l’assistenza sanitaria, istruzione e socializzazione. Peraltro la tutela dei minori è ampiamente trattata dai principi costituzionali, il Codice Civile, nonché leggi nazionali e carte internazionali. In questo caso le principali norme vengono meno ma non viene rilevata nemmeno la volontà di sopperire ad alcune mancanze. Dalle informazioni apprese, il collocamento in struttura è avvenuto dopo due anni di inutili tentativi di collaborazione da parte dei Servizi Sociali con il nucleo, che si è sempre rifiutato di adeguare il proprio stile di vita alle esigenze dei figli minori. Ricordiamo che in uno stato di diritto, i minori stessi sono soggetti di diritto e se chi esercita la responsabilità genitoriale non è in grado di garantire il benessere psicofisico dei figli intervengono le istituzioni preposte. Si parla di mancanza di pediatra e vaccinazioni di base, tra le altre cose, aspetti piuttosto gravi. Esistono diverse comunità che hanno scelto uno stile di vita “rurale” ma senza privare i figli di assistenza e confronto tra pari con punti di vista diversi.
C'è un aspetto che secondo lei non è stato debitamente approfondito dai media?
I media hanno fatto leva sulla percezione popolare ma anche sui bambini intesi come proprietà dei genitori, peraltro ancora una volta non tutelati dalla privacy che dovrebbe essere garantita per affrontare una situazione così delicata. Si sono soffermati sulla presunta ingiustizia subita dai genitori tralasciando le ragioni per le quali il Tribunale per i Minorenni ha dovuto sospendere la responsabilità genitoriale né le leggi di riferimento. Teniamo conto che al momento si parla appunto di sospensione, non di revoca, pertanto ai genitori viene offerta l’opportunità di essere collaborativi e modificare le proprie abitudini in funzione dei figli, ovvero garantire gli standard minimi di igiene, salute, istruzione e socializzazione.
Quali sono le ragioni per cui il tribunale dei minori può valutare l'allontanamento dei bambini da un nucleo familiare?
Partiamo dal presupposto che la povertà e il disagio economico non possono costituire motivo di allontanamento, poiché è compito dello Stato supportare i nuclei in difficoltà. L’allontanamento può avvenire quando tutte le misure messe in atto di prevenzione, sostegno e cura di un percorso di aiuto si rivelano inefficaci per la mancanza di collaborazione da parte degli adulti di riferimento, come probabilmente accaduto per il nucleo del bosco, nel loro caso la condizione di precarietà pare non sia scaturita dalla povertà ma da scelte. L’allontanamento è sempre l’ultima spiaggia, fatta eccezione per motivi gravissimi e di pericolo.
In che modo si inserisce il lavoro di voi assistenti sociali in questa catena di valutazioni e decisioni?
L’assistente sociale svolge un lavoro di monitoraggio costante attraverso colloqui, visite domiciliari, richieste di misure assistenziali di varia natura, relazionando costantemente al Tribunale Per i Minorenni al quale spetta l’emissione del decreto. Spesso le azioni suddette vengono affiancate da altri professionisti, quali psicologi ed educatori professionali. Attualmente non lavoro nel settore minorile, ci ho lavorato in passato.
Il caso politico che si è sollevato può influenzare procedimenti come questo?
La politica sta strumentalizzando la situazione a fini propagandistici, peraltro mettendo in discussione dei capisaldi costituzionali e legislativi, cosa gravissima per dei rappresentanti dello Stato. Oltretutto si stanno infangando due intere categorie professionali quali i magistrati e gli assistenti sociali. Nessuno di noi nega che in passato possano esserci stati errori, nessun mestiere è esente da questo ma screditare azioni di tutela è pericoloso. In futuro potrebbe causare una sfiducia da parte di chi versa in condizione di necessità. Spaventare le famiglie con la storia “Se vai dagli assistenti sociali ti tolgono i bambini”, può spingere chi ha bisogno a nascondersi.
Le destre affermano che questi provvedimenti non vengano adottati quando si parla di Rom. È davvero così?
Premettendo che i Rom comprendono una miriade di tribù, abitudini e nazionalità, tra cui autoctoni, si tratta di propaganda priva di fondamento. Pur contestualizzando lo stile di vita di quei Rom che vivono nei campi, questi ultimi non sono esenti da procedimenti da parte del Tribunale per i Minorenni, tra i quali l’allontanamento. Nel lungo periodo in cui ho lavorato al campo, i Servizi Sociali arrivavano con frequenza regolare per monitorare le famiglie interessate.
Qual è la sua esperienza a riguardo? (Comunità Rom)
Ho coordinato il presidio sociale al campo Rom di Castel Romano. Ci siamo occupati di stabilire i contatti con la ASL di riferimento, abbiamo provveduto alla vaccinazione dei nuovi nati e dei bambini in età scolare. Inoltre siamo stati una sorta di ponte coi servizi sociali territoriali per minori e adulti al fine di affrontare le diffidenze reciproche. Va detto che i campi, denominati “villaggi solidali” di solidale hanno ben poco. Grossi agglomerati creati per allontanare i rom dalle città che diventano grossi ghetti e tentazioni per persone senza scrupoli, vedi Mafia Capitale. Abbiamo anche collaborato con associazioni che si occupavano della scolarizzazione, aspetto ostico per i rom perché la loro cultura è a trasmissione orale, non esiste la lingua romanè scritta. Io credo che le problematiche più grosse per i korakanè sia iniziato con la fine del nomadismo, la droga che non apparteneva al loro mondo ora è la piaga dei campi. Io ho impiegato diversi anni per guadagnare la loro fiducia e, al contempo, ho affrontato i miei pregiudizi cercando di guardare oltre la mia prospettiva. Alla fine tra discussioni e momenti di festa, abbiamo condiviso quasi 8 anni. Peccato abbiano deciso di togliere il presidio sociale e mettere i vigili.



