Il 29 novembre si è svolto uno sciopero generale, organizzato da Cgil e Uil, contro la Manovra finanziaria del Governo Meloni, a causa della fragile situazione economica del paese, dove gli italiani lamentano un’erosione del proprio potere d’acquisto per comprare beni di prima necessità e la mala gestione del denaro pubblico, che dovrebbe essere investito in modo prioritario in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali. Ad aggravare il quadro è la crisi in cui si sta imbattendo l’automotive, settore di estrema rilevanza strategica, che ora sta affrontando le dimissioni dell’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares, a seguito del drastico calo delle performance finanziarie della società.
In questo periodo internamente tumultuoso è assente la narrazione delle vicende umane che si susseguono nella penisola, in particolare in ambito letterario e cinematografico, dove si tende a dare preminenza ad un’arte meramente autocelebrativa, anziché riprovare a riprendere contatto con i problemi che affronta lo stivale. Parte di questo decadimento è legato all’assenza degli intellettuali, ormai considerate creature preistoriche ancorate al passato. Fino a qualche decennio fa nella democrazia italiana, malgrado le difficoltà, veniva seriamente messo in discussione il sistema attraverso l’arte, oggi finalizzata ad avere un ruolo transitorio, essendo trasformata in bene di consumo mordi e fuggi, non più una creazione che racconti le dinamiche umane di un certo momento storico, tanto per i presenti quanto per i posteri.
Un regista che ha saputo descrivere la condizione dei lavoratori nel secolo scorso è stato Elio Petri con La classe operaia va in Paradiso, noto per l’interpretazione magistrale dell’attore Gian Maria Volontè nei panni del protagonista Ludovico Massa.
Il film rappresenta il secondo capitolo della “Trilogia della nevrosi”, preceduto da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto del 1970 e La proprietà non è più un furto del 1973.
La pellicola racconta dell’alienazione degli operai negli anni sessanta, delle contraddizioni all’interno delle rivolte studentesche e della corruzione dei sindacati, più legati allo status che all’ottenimento di una condizione dignitosa dei propri iscritti.
Il protagonista è Ludovico Massa, detto Lulù, un operaio di trentuno anni devoto al lavoro poiché, grazie al pagamento a cottimo, riesce a mantenere sia il figlio avuto con la sua ex moglie sia la sua attuale famiglia composta dalla nuova compagna, interpretata da Mariangela Melato, che lavora come parrucchiera, e il figlio di lei; in più, con quello che avanza, Ludovico riesce a togliersi qualche sfizio potendosi permettere un’automobile e altri beni di consumo superflui.
Lulù, grazie al suo stacanovismo, è falsamente stimato dai suoi superiori perché maggiore è la sua produzione e maggiore è il loro profitto, ma viene detestato dai propri compagni, i quali lo qualificano come servilista nei confronti dei padroni, che si arricchiscono sfruttando la manodopera degli operai, senza offrire loro una condizione lavorativa dignitosa e un salario conforme al tempo impiegato all’interno dello stabilimento.
Petri racconta di quanto sia debilitante praticare un mestiere ripetitivo e meramente meccanico attraverso il modo in cui Lulù conduce la sua vita fuori dalla fabbrica, dove subisce passivamente i programmi trasmessi alla televisione, non riesce ad instaurare un dialogo che non sia conflittuale con la sua compagna e lei stessa si lamenta del fatto che non trovino dei momenti di intimità sessuale ed emotiva.
La vita di Ludovico Massa cambia quando, a seguito di un incidente sul lavoro che gli costerà un dito, incomincerà a mettere in discussione il modo in cui gestisce la sua esistenza alienante, dove coloro che vengono definiti i “padroni” continuano a mandare avanti la produzione indipendentemente dalle condizioni dei propri sottoposti. Lulù, durante un confronto col sindacato, tiene un discorso frustrante in cui dichiara che la vita in fabbrica vita non è dal momento che entrano quando è buio ed escono la sera, proponendo durante l’orazione, con fine provocatorio, di introdurre nello stabilimento anche le donne e i bambini, così da poter continuare a lavorare “avanti, avanti, avanti, per queste quattro lire vigliacche fino alla morte” passando da una condizione infernale all’altra; comprende così a voce alta che per il sistema capitalista di cui è prigioniero non è altro che un bullone, una macchina, senza più un dito, quindi malfuzionante e parzialmente inutilizzabile.
Ludovico, ormai vittima del crollo psicologico dato dalla realizzazione della sua condizione esistenziale, si reca nel manicomio dove è rinchiuso il suo ex collega Militina, interpretato da Salvo Randone, il quale gli dice che se vuole diventare matto deve tornare in fabbrica, perché un lavoro ripetitivo e scandito in piccole porzioni di tempo non può che condurre alla follia più totale.
La pellicola rappresenta come il vero costo dell’alienazione siano i rapporti umani, in quanto il personaggio di Volontè, per ottenere un pagamento sufficiente per acquistare beni non necessari, non costruisce nessuna relazione autentica; persino il figlio viene rappresentato come strumento di affermazione personale in chiave egoistica, non affettiva.
In questo periodo storico si tratta con pressapochismo il discorso legato alla dignità umana, forse perché il sistema capitalistico si è totalmente impossessato delle esistenze tanto dei servi quanto dei padroni, in cui si accetta pacificamente di svendere la maggior parte del tempo giornaliero a disposizione con un quantitativo di denaro sufficiente per acquistare ciò che serve per sopravvivere in una società deprimente e vuota, in cui pure gli scioperi perdono di efficacia dal momento che manca l’aspetto più importante: il potere di dare un valore alla propria vita.
L’incapacità di raccontare il profondo disagio che sta vivendo l’Italia è uno dei diversi motivi che hanno condotto a scioperi inconcludenti, una classe politica debole e un popolo rassegnato al corso degli eventi, senza responsabilizzarsi nei confronti della società intesa nella sua collettività. Una nazione in cerca d’autore come quella italiana lascia che la narrazione di sè venga fatta da terzi, ignorando se sia conforme al vero, perché l’importante non è più la dignità del paese e del suo popolo, ma che a febbraio riprenda Sanremo, unica certezza di uno Stato incerto su tutto, persino su se stesso.