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Da dove viene la poesia?

Immagine del redattore: Gianpaolo TrottaGianpaolo Trotta

In un mondo fatto di immagini filmate, ha ancora un senso scrivere poesie? Per me, che credo ancora nel potere della parola, sì; per me che concepisco l’atto poetico come ribellione al nuotare affannoso in un mare di merci senza orizzonte che non sia il consumo immediato, per il quale sudare e indebitarsi, fino allo schianto, sì.

 

Leggo Sandro Penna e immagino il suo “dolce rumore della vita”: da dove sgorga?

 

Scrivo un verso e mi chiedo da dove venga.

 

Ecco, la domanda che mi sono posto oggi è questa: da dove viene la poesia?

 

Generata da altra poesia, come sosteneva D'Annunzio, da un processo irrazionale che nasce all'improvviso e torna ripetutamente al pensiero, come invece voleva Ungaretti, o dal genio di un demone, dalla Divina Manìa, come scriveva Platone nel Fedro?

 

E la composizione poetica è un sistema chiuso, ordinato e fisso, o una forma in continuo divenire, che non si esprime mai del tutto e può solo avvicinarci, senza mai afferrarlo, all'arcano? È gioco linguistico, o esplorazione dell'abisso del cuore?  

Statue (Reproduction) of Seated Hermes commissioned by John Wanamaker from the J. Chiurazzi and Fils foundry on display in the Penn Museum - AurelianusPoliorcetes, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il mito mi viene in soccorso. Omero racconta come la poesia risuonò per la prima volta nell'universo: Ermes, neonato, uscì dalla grotta in cui Maia lo aveva partorito e si mise a giocare con una nera e lenta tartaruga, comparsa lì davanti sull’erba. Il gioco del piccolo Dio era crudele, come spesso lo sono i giochi dei bambini: svuotava il guscio della tartaruga, vi praticava dei fori e vi applicava delle corde e poi si metteva a cantare accompagnandosi con le note che otteneva percuotendo quelle corde. E cantava gli amori del padre degli Dei e di sua madre, la Pleiade Maia, celebrando Divinità, terra, origini di tutto e il destino.

Questa statua, trovata in 10 pezzi (nel Bagno Sud di Perge) e con alcune parti mancanti, rappresenta Hermes che si allaccia il sandalo. Sotto il piede destro una tartaruga. Un originale della scena è attribuito a Lisippo di età ellenistica della seconda metà del IV secolo a.C. Questa copia del II secolo d.C. è la migliore e la più completa, altre si trovano a Copenaghen, Parrocchia, Monaco e Vaticano. Fonte: sculture del Museo di Antalya - Dosseman, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Ermes e la tartaruga sono due simboli: il primo di un modo leggero dell’essere che gioca con le realtà terrena e la trasforma; il secondo di una condizione buia, segreta e pesante, che viene affrontata e risolta in canto. Queste due dimensioni, quindi, coesistono nell'atto poetico: da un lato il "gioco linguistico", dall’altro quell'affrontare la parte oscura, sotterranea della propria anima, al fine di farla emergere. Nella poesia ci ricomponiamo, trasfiguriamo il reale e diamo luce al sommerso: è da queste necessità sorelle che nasce la poesia.





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