Quando ci si imbatte negli indici dei libri di filosofia, dei manuali, o anche nell'elenco dei video di un corso di filosofia, è difficile non notare la quasi totale assenza di donne. I protagonisti della storia della filosofia sono quasi esclusivamente uomini. Questo fenomeno può essere attribuito al lungo periodo storico, fino al ‘900, durante il quale alle donne era essenzialmente preclusa la possibilità di diventare filosofi. Era estremamente difficile, se non impossibile, per loro imparare a leggere e scrivere, ricevere un'istruzione di base, figuriamoci poi essere istruite a un livello avanzato, come richiede la pratica filosofica. Tuttavia, bisogna sottolineare che nel corso del ‘900 ci sono state alcune donne che si sono dedicate alla filosofia e hanno lasciato un segno indelebile nella storia di questa disciplina.
Alcune figure di filosofe. In ordine: Ipazia, Harriet Taylor Mill, Mary Astell (Joseph003 - CC BY-SA 4.0), Mary Wollstonecraft (John Williamson), María Zambrano, Simone de Beauvoir (Moshe Milner - CC BY-SA 3.0).
Una di queste figure degne di nota è Simone de Beauvoir[1], esponente del movimento esistenzialista, la quale non solo ha lasciato un'impronta significativa nella storia della filosofia, ma ha anche contribuito in modo considerevole all'avanzamento degli studi sulla donna, sul ruolo femminile e sull'identità femminile. È importante riconoscere e celebrare il suo importante contributo oggi. Nata il 9 gennaio 1908 a Parigi, Simone de Beauvoir insieme a Jean-Paul Sartre, con il quale ha avuto una liaison personale e intellettuale che ha segnato profondamente entrambi, rappresentano una delle coppie più importanti di attivisti francesi.
Il loro attivismo si manifestò attraverso campagne di stampa, interventi sull'attualità e un ruolo attivo sia nel contesto politico che, soprattutto nel caso di Simone de Beauvoir, nel movimento femminista. Essi incarnano il ruolo dell'intellettuale impegnato, una figura che oggi cerchiamo di ravvivare attraverso le nostre iniziative e Simone, in particolare, si distinse per la sua attiva partecipazione, scrivendo manifesti come il celebre "Manifesto delle 343 puttane", un documento pubblicato nel 1971 in Francia, firmato da 343 donne francesi, tra cui celebrità e intellettuali, che dichiaravano di aver avuto aborti illegali. Questo manifesto fu un atto di sfida contro le leggi restrittive sull'aborto in vigore in Francia all'epoca e una richiesta di liberalizzazione delle leggi sull'aborto. Niente di più attuale! La sua pubblicazione ebbe un impatto significativo sul dibattito pubblico e sulla legislazione sull'aborto in Francia, contribuendo alla promulgazione della legge Veil del 1975, che legalizzava l'aborto in determinate circostanze.
La sua opera più celebre, e su cui oggi vorrei volgere uno sguardo, è Il Secondo Sesso (Le Deuxième Sexe), pubblicato nel 1949. Ne Il Secondo Sesso, de Beauvoir esplora la costruzione sociale del genere e l'oppressione delle donne attraverso la storia, la filosofia, la psicoanalisi e l'antropologia. Il titolo stesso dell’opera indica la posizione delle donne come "altro" rispetto all'uomo, definendo così la loro esistenza in relazione a quella degli uomini, piuttosto che come soggetti autonomi e indipendenti. É importante anche la divisione del libro in due volumi, che evidenzia il lavoro di ricerca storico-sociale che c’è dietro e la riflessione che ne consegue. Il primo volume, I fatti e i miti, analizza la situazione storica, sociale e psicologica delle donne e offre un'analisi approfondita e critica della condizione delle donne nella società occidentale, esaminando le radici storiche e culturali dell'oppressione delle donne e offrendo una visione radicale e pionieristica della lotta per l'uguaglianza di genere; mentre il secondo, l'esperienza vissuta, continua l'analisi della condizione delle donne nella società occidentale, esplorando in modo più dettagliato l'esperienza soggettiva delle donne e le implicazioni personali e sociali della loro posizione di subalternità e trattando temi come la maternità e la sessualità.
Simone si interroga sul ruolo e sull'identità della donna nella società contemporanea e passata, criticando il concetto prevalente, non solo in Occidente ma anche altrove, che stabilisce un primo sesso, quello maschile, e un secondo sesso, spesso considerato debole o inferiore, cioè il femminile. Questa visione gerarchica è al centro della sua critica, e ne analizza le radici di questa e le implicazioni che comporta. L’impegno filosofico di Simone è concentrato sullo sgretolare, dal punto di vista teorico, l’attribuzione, nel corso della storia, di ruoli sociali alle donne che in realtà sono stereotipi che non siamo costrette a soddisfare. Analizzando diverse prospettive, sottolinea come il patriarcato e la supremazia maschile abbiano determinato la concezione del femminile, di cui invece porta alla luce svariate sfaccettature, affrontando temi quali interruzione di gravidanza, contraccezione, maternità, prostituzione. E lo fa attraverso il mito, la letteratura, la filosofia, dimostrando come all’interno delle opere di queste discipline si siano espressi determinati concetti sulla donna, delineando il contesto storico-culturale di questa costruzione sociale. Dunque, nell'immaginario collettivo, cioè nella rappresentazione culturale della donna, De Beauvoir mette in evidenza come la cultura occidentale abbia ritratto le donne attraverso miti e leggende antiche, nonché attraverso la letteratura dei diversi periodi storici come il Rinascimento, il Medioevo, l'Età moderna e oltre. Si interroga su come il ruolo della donna sia evoluto nel tempo in queste rappresentazioni culturali e identifica segni di continuità e cambiamento. Analizza anche l'influenza di queste rappresentazioni sull'immaginario contemporaneo, che include non solo la letteratura, ma anche il cinema e altre forme di media, e come queste influenzino la percezione e il pensiero della donna nella società odierna; il nostro modo di pensare l’uomo e la donna è figlio degli stimoli che riceviamo dalla cultura ed è necessario esserne consapevoli per scovare se c’è del vero e cosa e cambiare ciò che non lo è. Ha voluto dimostrare, con la sua opera, che le diversità tra uomo e donna dipendono da fattori culturali e non biologici.
Analizzando il "vissuto" dell'esistenza della donna, la sua vita concreta e le sue esperienze quotidiane, i rapporti interpersonali, il lavoro e il rapporto con le cose materiali, De Beauvoir delinea nell'opera una visione ampia e complessa, che abbracciando non solo una prospettiva filosofica, ma anche storica, sociale e culturale, è il punto da cui noi, oggi, a mio avviso, possiamo e dobbiamo partire per contrastare il non riconoscimento dell’essere persona, che affligge ancora il femminile nel nostro tempo. È essenziale considerare il ruolo della donna da molteplici angolazioni, poiché la sua identità non può essere compresa esclusivamente da un unico punto di vista. Questa struttura si riflette nell'intento fondamentale dell'opera: comprendere il processo attraverso il quale le donne acquisiscono la propria identità. All'interno delle impostazioni esistenzialiste, Simone de Beauvoir sostiene il concetto che “l'esistenza precede l'essenza", cioè che l'essenza di una persona è definita dalle scelte e dalle azioni che essa compie. Questo principio suggerisce che l'essere donna non è determinato dalla natura, ma è piuttosto una costruzione che avviene nel corso della vita.
La frase "Donna non si nasce, lo si diventa", tratta da quest’opera, rappresenta una delle idee più iconiche e influenti del pensiero femminista moderno. Questa affermazione, apparentemente semplice ma profondamente significativa, riflette un cambiamento di paradigma cruciale nel modo in cui comprendiamo l'identità femminile e la condizione delle donne nella società. Nascere donna non comporta la percezione della diversità tra generi, la femminilità non è un dato biologico, piuttosto una costruzione sociale e culturale. Se per De Beauvoir le donne non nascono intrinsecamente con una serie fissa di caratteristiche o ruoli predeterminati, ma questi sono piuttosto imposti loro dalla società in cui vivono, allora questo appello all'azione e al cambiamento sociale rappresenta un'invocazione alla libertà, all'autenticità e alla trasformazione sociale, offrendo alle donne una nuova cornice concettuale per esplorare e definire le proprie identità in un mondo ancora in via di cambiamento. Dunque, diventare donna è un processo che coinvolge scelte, relazioni personali, modelli di comportamento e influenze culturali. Esplorare questi elementi è fondamentale per comprendere come si forma l'identità femminile e come le donne definiscono il proprio ruolo nella società. Questo approccio permette di analizzare in che modo le donne diventano soggetti attivi nella definizione della propria esistenza, superando l'idea tradizionale che le considerava il "sesso debole". Questo concetto sfida l'idea tradizionale della femminilità come una categoria naturale e immutabile, evidenziando invece la sua natura fluida e contestuale.
Se diventare donna implica anche il rischio di diventare donne considerate inferiori, madri, mogli, o donne sottomesse, allora forse significa che tale identità non è intrinseca, ma piuttosto plasmata dalle influenze culturali e sociali. La società e la cultura spingono le donne in determinate direzioni, ma questo suggerisce anche che, se riuscissimo a modificare gli elementi culturali e sociali, potremmo altresì cambiare il modo in cui le donne sono percepite e si definiscono. In altre parole, modificando la cultura e la società, potremmo trasformare l'identità femminile stessa.
L’obiettivo di questo mio articolo, però, è non lasciare Simone De Beauvoir da sola in questo suo excursus, e sono proprio la vita concreta, le relazioni quotidiane e la costruzione dell’identità a tenderle la mano. Punto di approdo dei miei studi e delle mie ricerche, ma anche partenza per ulteriori indagini, è la mia tesi secondo cui l’io è relazione.
Alfred Schütz[2] ci offre una visione dell'io come di un soggetto immerso nelle dinamiche sociali della vita quotidiana e descrive l'io come parte integrante di un mondo sociale che impone norme e aspettative, influenzando sia il comportamento individuale che le interazioni con gli altri. È esattamente il contesto che la De Beauvoir descrive nella sua analisi e il lavoro di Charles Larmore[3], filosofo contemporaneo, per cui l’identità è un continuo processo di auto-costruzione, offre un altro appoggio alla mia tesi. Costruire la propria identità richiede un costante impegno personale e una profonda interazione con gli altri – io credo e Larmore mi accompagna nel mio ragionamento. Queste relazioni non solo ci aiutano a riconoscere gli altri come individui unici, ma sono anche fondamentali nel processo di auto-riconoscimento e definizione di sé. Allora, il paradigma che deve cambiare è quello senza genere, del Sé, non della donna sola, non dell’uomo solo, ma insieme. Certo, lo sforzo femminile che De Beauvoir richiede, in qualità di presa di coscienza, è un passo essenziale, ma altrettanto essenziale in questo viaggio è il cambiamento della visione “maschile” culturale della donna. E questa frase ancora non va bene, perché racchiude comunque la differenza uomo-donna. Se parliamo di “Io/ego” e di riconoscimento dell’altro in quanto tale, la differenza si annulla, perché la coscienza è coscienza, la ricerca non ha genere.
Il lavoro meticoloso di Simone de Beauvoir è di straordinaria profondità e vi troviamo già tracciato il percorso che ci ha portati fino a oggi. È un punto di arrivo di questo percorso, che, studiato e compreso, deve essere superato e costituire il punto di partenza per la nuova società. Le riflessioni suscitate da tale lavoro non riguardano solamente le donne, ma coinvolgono l'intera umanità e reputo inaccettabile che, nonostante tale analisi, la società oggi sia ancora incagliata nello stesso, irritante, scoglio della diseguaglianza di genere.
[1] Simone de Beauvoir (1908 - 1986), scrittrice e filosofa francese, ha rielaborato i temi dell'esistenzialismo sartriano alla luce della questione femminile. Tra le sue opere si ricordano i saggi: Per una morale dell'ambiguità (1947), La terza età (1970). I romanzi: L'invitata (1943), I mandarini (1954), Una donna spezzata (1967) e la tetralogia autobiografica Memorie di una ragazza per bene (1958), La forza dell'età (1960), La forza delle cose (1963) e A conti fatti (1972).
[2] A. Schütz, La Fenomenologia del mondo sociale, Meltemi, Milano 2018.
[3] C. Larmore è un filosofo statunitense, specializzato in filosofia politica, morale e epistemologia. Ha scritto numerosi libri e articoli su temi come la giustizia, la razionalità, la verità e la conoscenza. Tra i suoi lavori più noti ci sono "The Autonomy of Morality" e "The Practices of the Self", nei quali sviluppa una teoria dell'autonomia morale e della dignità umana.
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