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Abitare il nulla con Leopardi e Sartre. L’arte di ritrovarsi

Il nulla non è mai stato così vicino. Non parlo solo del nulla metafisico, di quel vuoto che i filosofi hanno tentato di catturare con concetti rigorosi e schemi logici, né del nulla tragico di Leopardi, che vede la vita come prigioniera della gabbia eterna del nascere e del morire. Parlo del nulla quotidiano, del vuoto che possiamo incontrare quando smettiamo di correre, quando ci stacchiamo dalla frenesia, dai social, dalla compulsione di essere sempre visti e giudicati. Il nulla è una ferita e un’apertura. Così dice Sartre, e io lo sento sulla pelle ogni volta che la mia coscienza si interrompe dalla continuità dei doveri. Il nulla è il vuoto che ci abita, quel silenzio tra le scelte, quella distanza dal nostro essere determinato. Nessuna essenza ci predetermina; ecco perché siamo liberi, ed ecco perché soffriamo. Perché la libertà non è una conquista pacifica, è responsabilità, è il peso di inventare noi stessi in ogni attimo.

 

Leopardi, con i suoi occhi fissi sull’opacità della realtà, anticipa questa condizione con precisione e dolore. La natura indifferente, l’incessante flusso del nascere e del morire, la caducità di ogni gioia: tutto ci parla del nulla. Ma Leopardi non si limita a denunciare, ci offre la poesia come illusione necessaria, fragile baluardo che ci permette di dire l’assenza e insieme di esistere. La poesia, come la filosofia, non cancella il nulla, ma lo abita. Il nulla diventa allora esperienza intima, uno spazio in cui il soggetto si confronta con se stesso, ascolta il proprio respiro, sente la propria libertà e la propria finitezza. È un silenzio che rivela la profondità dell’esistenza, il luogo dove ogni pensiero e ogni emozione si dispiegano senza interferenze esterne. E se ciascuno accogliesse questo vuoto dentro di sé, il nulla smetterebbe di essere solitudine e diverrebbe esperienza condivisa, un terreno comune in cui la fragilità umana e la consapevolezza si riconoscono, in cui la distanza tra gli uomini si riduce perché ciascuno si confronta con il medesimo silenzio, con la stessa apertura verso la libertà e la verità dell’essere.

 

E qui il pensiero diventa urgente. Viviamo tempi in cui il vuoto è temuto. La società moderna, ossessionata dal rumore, dalla visibilità, dalla misura di sé in “mi piace” e notifiche, ci ha reso estranei al nulla. Eppure, il nulla è ciò che ci permette di ritrovarci, di respirare, di inventare il nostro senso senza l’eco compulsiva del pubblico dominio. Stare soli, senza azioni frenetiche, senza interferenze esterne, è un ritorno al fondamento dell’essere, un nulla non negativo, ma terreno fertile. Sartre ci insegna che il nulla non è nemico, ma condizione della libertà. Senza nulla non ci sarebbe spazio per scegliere, per creare, per diventare ciò che siamo. E Leopardi ci mostra la bellezza del nulla, la sua capacità di essere poesia, esperienza, consapevolezza. Nella loro unione, filosofia e poesia ci indicano la via per abitare la vita senza fuggire il vuoto.

 

Ritrovare il nulla oggi significa spegnere gli schermi, fermare il flusso di immagini e parole, guardare dentro di sé senza fretta. È nell’assenza di attività frenetiche che possiamo scoprire il nostro autentico orizzonte, quello che non dipende da approvazioni esterne, da giudizi pubblici o illusioni di onnipotenza digitale. Il nulla diventa così uno spazio di rigenerazione, di invenzione, di libertà, non fuga dalla realtà, ma immersione profonda in essa. E allora il nulla non è più minaccia, non è più assenza. È occasione di incontro con noi stessi, terreno in cui la coscienza può respirare e la poesia può nascere. È il luogo dove Leopardi e Sartre si incontrano, dove filosofia e poesia si stringono la mano, dove il pensiero diventa vita e la vita diventa pensiero. Il nulla, nel mondo contemporaneo, è rivoluzione silenziosa. Non serve distruzione né tragedia: basta sedersi, ascoltare il proprio respiro, guardare il vuoto senza paura. In questo silenzio emerge una verità che la guerra e la violenza dimenticano e cioè che la forza più radicale non risiede nell’annientamento, ma nella capacità di fermarsi, di riflettere, di ritrovare se stessi. Mentre la guerra semina morte, paura e distruzione, il nulla offre pace e profondità, un terreno in cui l’uomo può incontrare la propria libertà e, forse, scorgere un orizzonte di comprensione reciproca, lontano dall’assurdità del conflitto.

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Abitare il nulla significa accogliere il vuoto, trasformarlo in libertà, consapevolezza e creazione. È nel silenzio, nel vuoto quotidiano, che possiamo ritrovare ciò che la fretta e il rumore ci hanno tolto: la possibilità di essere davvero presenti, profondi, vivi. E chi sa viverlo, come Leopardi e come Sartre ci hanno insegnato, sa che il vuoto non cancella la vita, la rende possibile, autentica, sorprendentemente viva. Non è solo la guerra a farmi paura, è ciò che vedo nel mondo di ogni giorno: persone che si feriscono e si uccidono per un parcheggio, per una lite in discoteca; animali torturati, femminicidi, violenze che si consumano nell’indifferenza. È questo rumore di crudeltà e indifferenza che rende ancora più necessario il nulla, quel silenzio in cui possiamo ritrovarci, osservare senza essere travolti, coltivare la nostra coscienza, nutrire la pietà e la responsabilità verso la vita. Solo abitando il vuoto possiamo resistere alla follia quotidiana e ricordare che, nonostante tutto, l’uomo ha ancora la possibilità di scegliere, di creare bellezza e di difendere la vita. Insegniamo ai nostri figli che la letteratura non è solo un’interrogazione, che la poesia non è solo da imparare a memoria, che la filosofia non è solo astratta e che pensare che non serviranno a nulla nella vita è il più grande errore che possano fare per la strada verso l’essere persone.


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