A pochi giorni dalle risibili dichiarazioni della premier Meloni che ironizza sulle femministe e sulla declinazione al femminile dei ruoli professionali, ignorando (o fingendo di ignorare) che le parole costruiscono il pensiero e, di conseguenza le azioni, preferiamo lasciare la parola a chi contro la violenza combatte ogni giorno.
Ringraziamo di cuore Antonella Faieta, avvocata penalista e cassazionista, Vicepresidente di Telefono Rosa, che abbiamo intervistato per La Bottega delle Filosofie.
Si parla spesso di prevenzione, informazione, formazione. Molti, invece, invocano misure repressive più restrittive. Secondo lei quali sono le strategie veramente efficaci per il contrasto al fenomeno della violenza contro le donne?
Le leggi ci sono. Le pene sono sufficientemente alte, ma non riescono ad avere l’effetto deterrente necessario. È evidente, dunque, come sia necessario agire sul fronte della prevenzione. Bisogna però dare un contenuto al concetto di prevenzione, in cosa consiste? Educazione alla relazione, insegnare il rispetto per l’altro/a come persona, creare ed intensificare tutte le azioni che possano portare ad una effettiva parità di genere. Sono convinta che non si possa sconfiggere la violenza nei confronti delle donne se non si riesce a far radicare nelle nostre coscienze il principio di parità. Lottare contro gli stereotipi di genere che tanto incidono nella crescita dei ragazzi e delle ragazze, fin dalla prima infanzia. Legittimare gli uomini nel riconoscere la parte più emotiva, la gioia e la sofferenza delle emozioni, delle frustrazioni, delle sconfitte, insegnando loro che manifestare le proprie sensazioni può aiutare ad andare avanti e non significa debolezza. Insegnare alle ragazze che la propria autostima non può essere messa in discussione dal giudizio di un uomo, che solo con il confronto paritario si cresce e che non si deve consentire che un compagno o un marito ci impongano decisioni sulla nostra vita. Al primo segnale di prevaricazione allontanarsi, alla prima violenza chiedere aiuto. Lottare per il diritto allo studio delle ragazze in tutte le materie senza limiti o preclusioni, favorire le politiche che rendano effettivo il diritto al lavoro delle donne con previsione dei servizi per il sostegno alla crescita dei figli. Insegnare alle ragazze che l’indipendenza economica è la base per la costruzione di un rapporto di libertà con il proprio compagno. Libertà di andare via o di restare, basandosi sul sentimento e non sulla dipendenza economica per sé stesse e per il loro figli/e. Far comprendere gli effetti devastanti sui figli e sulle figlie della violenza assistita.
Ovviamente se parliamo di prevenzione non si può non citare l’informazione e la formazione. Quando una donna si trova in una situazione di violenza deve sapere che può chiedere aiuto, che può intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Far conoscere i centri antiviolenza e l’attività che svolgono è fondamentale. I CAV accolgono le donne in anonimato, offrono assistenza legale e psicologica. Le donne devono essere informate degli strumenti giuridici a loro disposizione per allontanarsi dall’uomo violento e per tutelare sé stesse e i loro figli e figlie. Informarle sulla legge sul patrocinio a spese dello Stato.
La formazione è necessaria nelle scuole con programmi che prevedano l’educazione alle relazioni e alle emozioni. Essa è indispensabile nelle università in modo che i professionisti e le professioniste di domani abbiano conoscenze idonee per affrontare il loro lavoro senza stereotipi di genere. Deve essere spiegato nelle varie discipline cos’è la violenza di genere e come si manifesta, in quali forme, quali sono i primi segnali e come contrastarla. Questo è importante per tutte le facoltà e soprattutto per quelle professioni che avranno un ruolo importante per la prevenzione e per la lotta alla violenza. È importantissimo inoltre formare tutti gli operatori e le operatrici che entrano in contatto diretto con una donna che subisce violenza e che chiede aiuto: avvocati/e medici, assistenti sociali, magistrati/e, forze dell’ordine.
Cosa fa concretamente Telefono Rosa?
L’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa da oltre 35 anni è impegnata nella lotta contro la violenza sulle donne. Gestiamo vari CAV dove le donne vengono accolte e dove viene data assistenza legale e psicologica. Gestiamo inoltre delle case rifugio, luoghi dove donne accolgono altre donne in difficoltà che sono state costrette ad allontanarsi da casa, spesso con i loro figli e le loro figlie, per mettersi in sicurezza. In questi luoghi con il supporto delle operatrici, delle psicologhe e delle avvocate, avviano il loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e tornano ad essere protagoniste delle loro vite.
Il Telefono Rosa è stato più volte convocato da commissioni parlamentari per audizioni su vari disegni di legge, la sottoscritta è stata consulente esterno della precedente commissione femminicidio. Come Associazione riteniamo essenziale l’educazione dei/ delle giovani. Per questo siamo presenti in tante scuole d’Italia con un progetto che è nato dal 2003 “Le donne: un filo che unisce mondi e culture diverse” e che ha coinvolto circa 25.000 studenti e studentesse. Il progetto è stato coordinato ed egregiamente gestito da una nostra volontaria Marisa Paolucci, giornalista, purtroppo recentemente venuta a mancare. Anche quest’anno tenacemente l’iniziativa andrà avanti in onore di Marisa e per l’importanza che riteniamo essa abbia per i ragazzi e le ragazze. La prima giornata si svolgerà presso il teatro Orione di Roma il 25 novembre prossimo.
Quali sono i consigli che si sente di dare a una donna vittima di violenza domestica? Qual è la prima cosa da fare?
Il consiglio più importante è quello di sottrarsi dalla situazione di violenza al primo segnale, avendo cura di mettersi subito in sicurezza. Informarsi, rivolgersi a un CAV. Chiedere aiuto, non isolarsi e contrastare il senso di colpa: se un uomo è violento non è colpa nostra.