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Musk-Trump, una crisi (forse) definitiva. Seconda parte

Agli ultimi, forti, strali lanciati da Musk, di cui si è dato qualche esempio nell'articolo precedente, si sono aggiunte ulteriori motivazioni di dissidio da parte di Musk. Innanzitutto, a fine maggio Trump in persona ha ritirato la candidatura di Jared Isaacman da amministratore generale della NASA. Perché conta? La nomina di Isaacman ad un ruolo così apicale nell’Agenzia spaziale americana avrebbe significato una ancor maggiore presa di SpaceX sulla NASA. Isaacman, infatti, è un imprenditore miliardario – la cui nomina a amministratore della National Aeronautics and Space Administration era già stata approvata dalla Commissione Commercio al Senato, necessitando del voto davanti a tutta la Camera alta del Congresso statunitense – con solidi rapporti con Musk. Jared Isaacman ha partecipato a diverse missioni di SpaceX, tra le più note Inspiration4 e Polaris Dawn. Era dunque necessario porre un freno all’espansionismo muskiano nella NASA.


The White House, Public domain, via Wikimedia Commons
The White House, Public domain, via Wikimedia Commons

Inoltre, sempre a proposito dell’azienda aerospaziale di Musk, un altro motivo di grande disappunto da parte del multimiliardario sudafricano è stato che i dati relativi ai lanci che la NASA fa con SpaceX non sono con lui condivisi. Le motivazioni formali sono i suoi legami con non ben definite potenze esterne. Come riportato anche in un reportage pubblicato dal New York Times il 17 dicembre 2024, secondo la US Air Force fornire a Musk tali dati minerebbe in primis la sicurezza nazionale statunitense, e in secundis anche quella di alcuni Paesi alleati (Israele su tutti aveva espresso parere contrario alla condivisione dei dati). Non è specificato quali siano queste potenze esterne, ma tutto porta alla Repubblica Popolare Cinese.

 

Elon Musk ha infatti una profonda e necessaria relazione con la Cina. Lì, a Shanghai, è stata costruita la più grande fabbrica di Tesla al mondo – da lui ribattezzata gigafactory -, capace di produrre 950.000 veicoli l’anno. Oltretutto è il primo impianto di produzione automobilistica costruito in Cina interamente di proprietà della casa costruttrice. Non è una fabbrica del governo cinese né è stata realizzata, come fatto in passato con altre case automobilistiche, mediante una joint venture pubblico-privata. Musk ha vitale bisogno del mercato cinese, dunque la postura di Washington nei confronti di Pechino, sempre più dura dal punto di vista commerciale, non può essere condivisa da Musk. Oltre alla gigafactory a Shangai, è interesse dell’ex capo del DOGE che la Cina non limiti l’esportazione di terre rare come sta facendo. Pechino ha sostanzialmente il monopolio della produzione mondiale di terre rare e materiali critici, dalla loro estrazione (spesso in Paesi africani), alla loro lavorazione.

 

Le terre rare sono essenziali per produrre magneti permanenti ad alte prestazioni, impiegati nei motori elettrici dei veicoli, mentre i cosiddetti materiali critici (ad esempio litio, cobalto, manganese, grafite) sono necessari nella produzione di batterie. Entrambe le categorie di materiali, quindi, sono vitali nell’industria contemporanea e in particolare dei cicoli elettrici. Ebbene, in risposta ai dazi di Trump la Cina ha deciso di limitare fortemente l’export di terre rare e materiali critici. Ad ogni impresa straniera interessata al loro acquisto, Pechino ha ora imposto di chiedere un permesso ad un (piccolo) ufficio del Ministero del Commercio cinese, composto da soli 60 funzionari. A fronte di migliaia di richieste provenienti da case automobilistiche americane e europee, questo ufficio ha dato l’assenso per l’esportazione di terre rare e materiali critici solo nel 25% dei casi. Nel momento in cui si scrive (mercoledì 11 giugno 2025), però, almeno per quanto riguarda le terre rare sembrerebbe esserci stata una svolta. Trump ha dichiarato che, dopo due giorni di colloqui a Londra tra alti funzionari americani e cinesi – in cui le terre rare in cima alla lista -, si è giunti ad un accordo: si sarebbero sbloccati i rifornimenti delle terre rare in cambio di un abbassamento dei dazi. Da quanto si legge su Truth (il social di Trump), le tariffe applicate da Washington a Pechino passerebbero al 55%, quelle imposte dalla Cina invece al 10%, con la libertà di ingresso e soggiorno sul suolo americano per gli studenti cinesi. Vedremo quanto questo accordo reggerà. 

 

Ad ogni modo è evidente il fatto che Musk non possa prendere troppo le distanze da Pechino, attore troppo importante nell’industria green. Non a caso, in un primo momento si pensava che SpaceX fosse il più importante partner per lo sviluppo del Golden Dome – il nuovo, aggiornato, sistema di difesa antimissilistica per cui Trump ha stanziato 500 miliardi di dollari. Poi, è stato lo stesso Musk a dichiarare che la sua agenzia aerospaziale non sarebbe stata coinvolta nello sviluppo del Golden Dome. Questo scudo antimissile, infatti, guarda ad un soggetto ben preciso, la Repubblica Popolare. Prender parte a tale iniziativa significherebbe fare una netta scelta di campo, chiaramente anticinese, cosa che Musk non può fare.

 

Da ultimo, un’altra questione che ha sicuramente inalberato Musk è stata il fatto che il «big, beautiful bill» di Trump ha tagliato gli sgravi fiscali per l’acquisto di veicoli elettrici. Un colpo al cuore di Elon Musk. Donald Trump ha affermato che «la soluzione più semplice per tagliare velocemente fondi dal nostro Budget, miliardi e miliardi di dollari, è chiudere i sussidi governativi per Elon e rescindere i contratti [siglati con lui]», chiedendosi poi perché non l’avesse fatto prima Biden. Così sembra intenzionato a fare il 47° Presidente americano. Per quanto riguarda SpaceX, i sussidi governativi, diretti, sono durati decenni e hanno ammontato a decine di miliardi di dollari – si pensi che nel solo anno fiscale 2024 l’azienda spaziale di Musk ha ricevuto 3.8 miliardi. Per Tesla, invece, i benefici sono più indiretti, si tratta piuttosto di sgravi fiscali. Ad ogni modo, questa netta presa di distanze di Trump dai settori centrali del business di Musk non può che aver fatto ulteriormente alterare quest’ultimo.

 

Tuttavia, nonostante il duro scontro con Donald Trump, per ora non sembra realisticamente possibile che gli USA rinuncino a SpaceX, e dunque a Elon Musk. La NASA e il Pentagono, anticipati dalla minaccia di Trump di cancellare i contratti federali siglati con SpaceX, starebbero cercando alternative all’azienda aerospaziale del miliardario sudafricano. Il livello tecnologico raggiunto da SpaceX - che, in sostanza, consente di riutilizzare i vettori di cui ci si è già avvalsi per mandare nello spazio gli astronauti statunitensi – non ha però eguali nel mondo. Per questo, la risposta che Elon Musk ha dato alla minaccia di Trump di rescindere i contratti con SpaceX - ossia che quest’ultima avrebbe ritirato la navicella Dragon, rendendo impossibile alla NASA il trasporto dei propri astronauti verso la Stazione Spaziale Internazionale -, ha fortemente preoccupato i vertici dell’Agenzia Spaziale americana. Probabilmente, dunque, la ricerca di Pentagono e NASA di un sostituto perfetto di SpaceX non darà frutti. Almeno nel breve/medio termine - ma non si scorgono all’orizzonte soggetti capaci di garantire ciò che fa l’azienda aerospaziale di Musk, anche nel campo della connessione satellitare di Starlink - il multimiliardario sudafricano rimarrà irrinunciabile per il governo statunitense.

 

La sempre più serrata corsa allo spazio obbliga Washington a rimanere attaccata a Elon Musk. La separazione tra Trump e Musk, vedremo se si ricucirà, è quindi solo sul piano politico. Di fatto, i due si servono necessariamente a vicenda, o meglio, a Musk servono gli Stati Uniti. Il magnate sudafricano, gigafactory di Shanghai a parte, ha infatti negli USA le sue due industrie veramente strategiche, SpaceX e la robotica di Tesla, parte dell’apparato militare-industriale americano. Di conseguenza, uno strappo vero da parte di Elon Musk, capace di danneggiare gli Stati Uniti, non è all’orizzonte. Si vedrà fin dove, invece, il proprietario di SpaceX vorrà portare lo scontro politico. Le elezioni di midterm sono all’orizzonte, e Musk sa bene che per azzoppare Trump non è necessario intercettare quell’80% di americani al centro. È sufficiente far perdere quattro seggi alla Camera o al Senato per togliere a Donald Trump il controllo sul Congresso. La sfida è aperta.

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