Nel presente contributo, vorrei riprendere la mia disamina del complesso di Cenerentola per mettere in evidenza i processi con cui si attua questo atteggiamento femminile di sacrificare le proprie aspirazioni a beneficio di un uomo che si presenta come salvatore e donatore di senso di un’esistenza anonima e priva di autonomia.
L’analisi più articolata del complesso di Cenerentola la si deve a Colette Dowling autrice dell’omonimo libro, che a tale proposito scrive:
«La tesi di questo libro è che il bisogno di dipendenza quale è vissuto a livello personale, psicologico – il desiderio profondo che altri si prendano cura di noi – è l’elemento che più di ogni altro oggi blocca le donne. L’ho definito il complesso di Cenerentola: un insieme di atteggiamenti e di paure, per lo più repressi, che mantiene le donne in una sorta di penombra e impedisce loro di usare fino in fondo mente e creatività. Come Cenerentola, le donne oggi sono ancora in attesa che qualcosa proveniente dall’esterno trasformi la loro esistenza»[1].
Muovendo da una presa di coscienza personale la Dowling racconta come gradualmente e inesorabilmente si era trasformata da giornalista di professione che cooperava al sostentamento economico della famiglia a casalinga, soddisfatta di svolgere unicamente incombenze domestiche. In questa lunga e sistematica regressione l’autrice abdica persino alla sua femminilità: «Da brava girl-scout altruista, non compravo mai nulla per me, niente vestiti, niente cosmetici, neanche un soprammobile per la casa»[2].
Man mano che questo oblio di sé progrediva, ansia e depressione s’impossessavano ineluttabilmente di lei, fino a scatenare malessere e insonnia, inducendo ogni forma d’insicurezza: «non ero più tanto sicura neanche di essere sessualmente desiderabile»[3]. Ripreso infine, seppur gradualmente, il controllo di sé e della propria vita, la Dowling inizia con notevole acume una rammemorazione e analisi introspettiva per comprendere tutti i meccanismi psicologici e le strategie familiari e sociali che spingono le donne a rinunciare alla propria dipendenza.
Secondo la Dowling, il problema incomincia dall’infanzia, quando eravamo al sicuro, quando qualcuno si occupava di tutto e si poteva contare su mamma e papà per qualsiasi cosa e la notte non voleva dire incubi e insonnia o l’ossessivo tormentoso elenco degli errori commessi durante il giorno e di quelli che si sarebbero potuti evitare. Ma significava stare sdraiati ad ascoltare il vento tra gli alberi, finché non sopraggiungeva il sonno.
«Ho scoperto – scrive Dowling – che c’è un legame tra l’inclinazione femminile alla vita domestica e quei rasserenanti sogni a occhi aperti sulla nostra infanzia che sembrano giacere appena sotto la soglia della coscienza. Alla base di entrambi c’è la nostra dipendenza: il bisogno di appoggiarci a qualcuno, l’esigenza che risale ai primi anni di vita, di essere nutriti, amati e protetti. Bisogni che non ci abbandonano da grandi, ma anzi chiedono a gran voce di esser soddisfatti insieme all’esigenza opposta di sentirsi autosufficienti. Entro certi limiti il bisogno di dipendenza è normale, sia per gli uomini sia per le donne. Ma le donne, come vedremo più avanti, sono state incoraggiate fin da bambine a una dipendenza eccessiva e malsana. Ogni donna che si guardi in profondità sa di non essere mai stata addestrata a sentirsi a suo agio con l’idea di badare, difendere e affermare se stessa. Nel migliore dei casi può aver giocato il ruolo della persona indipendente, invidiando nell’intimo i ragazzi (e più tardi gli uomini), la cui autosufficienza sembrava così naturale»[4].
Così, mentre i maschi vengono educati fin da bambini ad esercitare la propria indipendenza, le femmine, invece, anche attraverso l’iperprotezione, vengono sistematicamente de-responsabilizzate o quantomeno semi-responsabilizzate, perché in fondo ci sarà sempre qualcuno che verrà a “salvarle”. In quest’orizzonte deprimente di semi-realizzazione assistita la figura salvifica assumerà, di volta in volta, secondo l’età, l’aspetto del padre, del fratello e del marito.
È in questo modo che una serie di pregiudizi millenari e variamente stratificati – dalla tradizione alla codificazione religiosa e dalla consuetudine alla giurisprudenza – impongono al bambino un’educazione all’indipendenza e, all’inverso, un agire dipendente al sesso femminile.
Se si guarda a quanto accade a numerose coppie è tutt’altro che infrequente che questo oblio di sé della donna, questo dissipare la propria creatività nelle faccende domestiche, questo assomigliare all’immagine rassicurante e materna che l’uomo sovente esige dalla donna, finisce per trasformarla, impercettibilmente, in una monotona domestica, dissipando quella carica seduttiva che solo una dose di mistero, di non totale dispiegamento di sé può mantenere acceso. Cosicché, se i ruoli sociali, le figure parentali e i partner maschili tendono a promuovere e a premiare un’immagine docile, domestica, servizievole della donna, alla fine questo asservimento e rinuncia di sé conduce alla standardizzazione del ménage coniugale, all’abbrutimento del rapporto, alla perdita di sex-appeal con il conseguente e inesorabile spegnimento del desiderio.
Situazioni esemplificate, almeno in parte, anche in due film relativamente recenti: Ricordati di me e Mona Lisa smile. Nel primo caso c’è l’esemplificazione di una donna tradita dal marito perché nel diventare quella che lui esigeva, finisce col perdere – per lui – ogni attrattiva. In Mona Lisa smile, invece, alcune studentesse, peraltro intellettualmente dotate, vengono avviate dalla famiglia e dai docenti – con una sola eccezione – a conseguire la maturità e a sposarsi per diventare ubbidienti mogli e tranquille casalinghe. E proprio alla più convinta assertrice del matrimonio e del ripudio di qualsivoglia professione toccherà esperire il lento e sistematico disinteresse del marito, con conseguente adulterio. Fortunatamente, il film termina con la presa di coscienza della donna, attraverso l’esemplare mediazione educatrice di un’insegnante, e il suo distacco dalla madre che esigeva da lei la totale auto-cenerentolizzazione, corroborata da un devastante corollario: ingoiare e consentire il persistente tradimento coniugale.
[1] C. Dowling, Il complesso di Cenerentola, Mondadori, Milano, 1989 (orig. 1981), p. 28.
[2] Ivi, p. 20.
[3] Ivi, p. 21.
[4] Ivi, pp. 14-5.
ความคิดเห็น