28 maggio, Strage di piazza della Loggia: non una semplice commemorazione
- Davide Inneguale
- 2 giorni fa
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Il 28 maggio del 1974, una bomba esplodeva in Piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione antifascista. Otto persone persero la vita, oltre cento rimasero ferite. L’attentato, firmato dal gruppo neofascista di Ordine Nuovo, fu uno dei più gravi episodi della cosiddetta strategia della tensione: un disegno eversivo teso a seminare paura e a frenare il cambiamento sociale e politico in atto in Italia.

Non si trattò di un’azione isolata. Dietro quell’ordigno c’era una regia più ampia, che coinvolgeva apparati deviati dello Stato, la loggia massonica P2, e una fitta rete di complicità e silenzi. Solo nel 2015, dopo decenni di processi e depistaggi, arrivò una sentenza definitiva che attribuì le responsabilità a esponenti e a informatori dei servizi segreti come Maurizio Tramonte, dimostrando una contiguità inquietante tra terrorismo nero e strutture istituzionali.
Oggi, a 51 anni da quella strage, la memoria di Piazza della Loggia non può essere solo commemorazione. Deve invece essere uno spunto di riflessione, perché alcuni schemi del passato sembrano riproporsi con nuove forme e nuovi linguaggi, ma con la stessa logica: quella dell’emergenza come pretesto per comprimere diritti, quella della paura come strumento di controllo.
In questo senso, preoccupante è il DDL Sicurezza, che propone un inasprimento delle pene per chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, introduce nuovi reati contro chi ostacola l’ordine pubblico e amplia i poteri discrezionali delle forze di polizia. Ma soprattutto consentirebbe ai servizi segreti di guidare organizzazioni terroristiche in nome della sicurezza di stato. Misure che rischiano di colpire proprio le forme di dissenso civile e politico: scioperi, cortei, proteste. Che costituiscono l’essenza stessa della democrazia.
Non è difficile, per chi conosce la storia repubblicana, riconoscere in questa narrazione securitaria un’eco preoccupante delle logiche repressive degli anni Settanta, quando l’ordine era invocato come valore assoluto e ogni conflitto sociale veniva letto come una minaccia. In quegli anni, mentre si colpivano i movimenti operai e studenteschi, l’eversione neofascista godeva spesso di coperture, ambiguità, protezioni. Chi denunciava la complicità delle istituzioni in questa strategia del terrore venne fatto tacere, tra tutti Pasolini.
Il rischio, oggi, non è quello di un ritorno alle bombe nelle piazze. Ma è quello di una progressiva erosione dello spazio democratico, della delegittimazione del dissenso, della costruzione di un nemico interno funzionale al rafforzamento dell’autoritarismo. L’esperienza storica ci insegna che quando le istituzioni scelgono la scorciatoia della forza, rinunciano al loro ruolo di mediazione e apertura.
Ricordare Piazza della Loggia, oggi, e onorare le vittime, significa vigilare contro ogni tentazione di restaurare uno “Stato di eccezione” permanente, in cui la sicurezza viene brandita come clava contro chi chiede giustizia, lavoro, diritti. Significa interrogarsi su chi oggi trae vantaggio dal diffondersi dell’odio, dalla criminalizzazione delle lotte, dalla costruzione di una società più sorvegliata e meno libera.
Il 28 maggio deve essere un monito: le stragi di Stato non sono solo il passato. Sono un rischio presente, ogni volta che lo Stato dimentica di essere al servizio della democrazia e si fa strumento del potere.