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Pace: l’ultimo desiderio di Papa Francesco

Francesco se n’è andato all’alba di lunedì 21 aprile, giorno che segue la Pasqua in cui la Chiesa ricorda l’incontro dell’angelo con le donne giunte al sepolcro di Gesù.

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Nacho Arteaga nachoarteaga, CC0, via Wikimedia Commons

Non poteva scegliersi giorno migliore per tornare a Dio, il giorno della resurrezione e della speranza. Quella speranza che ha tanto caratterizzato il suo Pontificato, al tal punto, che ad essa è dedicato il Giubileo del 2025. Un Giubileo che ora acquista, certamente, un altro significato; il pontefice che ha aperto le porte ora può realmente testimoniare la speranza, può finalmente varcare le porte del paradiso e abbracciare quel Padre che tanto ha amato e servito per tutta la vita. Ricordiamo che Francesco sale al soglio pontificio dopo l’inaspettato abbandono di Papa Ratzinger; un atto che suonò come rivoluzionario in una Chiesa sbandata, delusa e carica di aspettative. Ma è stato subito chiaro al mondo intero che il suo sarebbe stato un pontificato diverso e lontano dalle millenarie ingessature di palazzo. Innanzitutto nella scelta del nome: Francesco, il santo dei poverelli. Non poteva scegliere nome più appropriato per quella che sarebbe stata la sua missione: la scelta preferenziale per i poveri e gli ultimi. Francesco ha di fatto inaugurato una nuova strada, guardando alla povertà come fenomeno collettivo e non più come il problema del singolo. La sua scelta preferenziale per i poveri, per gli immigrati, gli oppressi, gli ultimi, affrontata nelle sue encicliche, ha posto seriamente in discussione le politiche socio-assistenziali, nonché quelle economiche e ambientali di tutti gli Stati del mondo, invitando il cristiano a tendere la mano al fratello e ad avere il coraggio di andare controcorrente e di rispondere con la fede alle sfide della modernità.  Per questa sua tenacia nel difendere gli ultimi è stato definito “il papa socialista” attirandosi non poche critiche da amici e nemici.

 

La scelta che più di tutte ha rotto ogni legame con i predecessori è stata quella di risiedere a Casa Marta, dove oggi è morto, lontano dai comodi e sontuosi palazzi papali. Francesco sceglie di vivere nella semplicità, nell’umiltà e nella condivisione. Queste strategie messe in campo, hanno saputo certamente ridestare i cuori dei cristiani stanchi e delusi di una Chiesa troppo distante dall’uomo di oggi. Francesco ha cercato proprio di fare questo, rompere gli schemi di un rigido clericalismo, di una pastorale appiattita e poco coraggiosa, di una Chiesa chiusa in sé stessa, per ridare centralità alla potenza dell’annuncio. Francesco ha voluto cambiare il volto stanco della cristianità, per ridare quello slancio gioioso e temerario dei primi secoli; una Chiesa in cui il credente si riconosce dal sorriso, dalla dolcezza e tenerezza dei suoi gesti, dall’umiltà e dalla pazienza. Bergoglio, di fatto, ha realizzato una vera e propria rivoluzione ecclesiale: una chiesa in cammino e non una chiesa accomodata comodamente in poltrona, chiusa nelle proprie sacrestie.

 

Probabilmente oggi l’immagine è quella di un Francesco stanco, ammalato, sulla sedie a rotelle che con un filo di voce parla ai fedeli; quel Francesco che nonostante il dolore della malattia, non si stanca di andare dagli ultimi, scegliendo di  visitare i carcerati, per ridare loro la speranza di una vita nuova.

 

L’ultimo pensiero di Papa Francesco è andato a quella pace per Gaza e per l’Ucraina che purtroppo non è riuscito a vedere. Ora può lui da lassù intercedere affinché si realizzi il suo ultimo desiderio: la pace per l’umanità intera.

 

Grazie Francesco

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